Il mio viaggio a Tamanrasset, estremo sud sahariano dell’Algeria
Sicuramente è stato uno dei più difficili della mia vita,
sia per la durezza degli orari dei trasferimenti e sia per i controlli di
polizia, ma se ce ne fosse l’esigenza, ci tornerei volentieri.
Già procurarmi il visto non è stata cosa da poco: per quello
che in Algeria si chiama il Grande Sud,
ci sono leggi e regolamenti speciali e la difficoltà di ottenere un visto è
decisamente superiore perfino a quella di riuscire a soggiornare in Arabia Saudita.
Pur essendo stato facilitato dalla presenza di un efficientissimo consolato a
Milano, ho dovuto combattere non poco. La cosa funziona esattamente come nei
paesi arabi tipo Arabia Saudita: potete andare lì, solo se invitati da qualcuno
del luogo.
Daniela è stata bravissima a trovare, fuori dai circuiti TripAdvisor
e simili, l’hotel dove poi sono stato che è anche agenzia turistica locale e che
mi ha fatto da sponsor facendo pervenire l’invito al consolato algerino a
Milano.
Sono partito, quindi, abbastanza tranquillo che non vi
fossero altri problemi che, invece, purtroppo, ho trovato.
Mancavo da Algeri da undici anni. Ricordo che fu un viaggio
brevissimo, come tutte le mie lunari, di solo poche ore. Vidi migliaia di poliziotti
per le strade, con posti di blocco ogni 100-200 metri.
Più che criticare cercai di capire e mi feci aiutare da
persone del luogo.
L’Algeria stava affrontando — e credo che sia ancora
impegnata su questo fronte — il problema di fasce estremiste che tendevano alla
radicalizzazione e vi erano stati piccoli, ma non insignificanti massacri, in
diversi villaggi interni. Ricorderete anche di quei marittimi italiani, otto o
nove pescatori di Torre Annunziata e di Torre del Greco, se ricordo bene,
sgozzati sul loro peschereccio mentre dormivano.
In altri paesi, vedi la Siria, dove tali episodi non sono
stati immediatamente controllati e anche dominati, è poi successo quello che
tutti sapete.
Desidero aggiungere che, come tantissimi democratici di
tutto il mondo, da ragazzo feci il tifo per l’indipendenza che l’Algeria
conquistò dopo 130 anni di dominazione francese.
Film come la Battaglia
di Algeri, di Gillo Pontecorvo, e Lo
sciacallo, mi avevano assai sensibilizzato al problema.
Dunque, posso dire, che nutro una spontanea simpatia verso
questo paese.
Ritornarci dopo undici anni e trovare un fortissimo stato di
polizia, lo comprendo e lo accetto, ma ho comunque avuto non poche difficoltà a
realizzare il mio breve soggiorno lì.
Certo, se potessi fare come molti, RL di 5-6 giorni,
probabilmente non avrei avuto questi problemi, ma non posso permettermelo.
Da Milano c’è un volo giornaliero, diretto, con Air Algeria, che alle 14.15, in circa
due ore vi porta ad Algeri. Qui occorre spostarsi dall’aeroporto internazionale
a quello dei voli domestici: circa un chilometro a piedi, all’esterno, e
attendere la coincidenza con il volo Algeri-Tamanrasset che parte alle 23 e
impiega due ore e trenta per giungere nell’estremo sud del Paese.
Avendo ottenuto un visto non facile dal consolato milanese,
pensavo di avere esaurito i problemi. All’ufficio di Milano avevo portato dei
miei libri, sia di astrologia che di fotografia, per spiegare le ragioni del
mio viaggio, ma evidentemente il visto ricevuto non mi dava diritto ad
alcunché.
Ritornando alle tappe del mio spostamento, io dovevo
giungere all’1.30 a Tamanrasset per poi ripartire la notte dopo alle 4.05 con
lo stesso volo. Andarmene a dormire non se ne parlava proprio e io non stavo
nei panni pensando allo spettacolo del deserto visto e fotografato pochi minuti
prima e dopo dell’alba. Così ho fatto. Poi ho tentato di dormire (senza
riuscirci) un po’ di ore in hotel, prima di tornare in aeroporto per imbarcarmi
sul volo di ritorno: dalle 4.05 alle 6.30 fino ad Algeri e dalle 10.30 alle
13.30 (l’Italia è a un fuso orario più avanti) a Malpensa.
In pratica due giorni e due notti senza dormire, ma ne
valeva la pena!
Torniamo al mio arrivo ad Algeri. Pochi minuti di fila e
sono davanti ad un giovane poliziotto che mi controlla passaporto, visto e
cartoncino accompagnatorio da me riempito in ogni più piccolo particolare.
L’agente mi chiede che lavoro faccio. Qui sapevo benissimo
che se avessi detto giornalista, mi sarei attirato tutto il mondo addosso, ma
sfortunatamente non avevo alternative perché sapevo perfettamente che avrebbero
controllato in tempo reale sui social.
Ho risposto che non lavoravo più da molti anni, che ero in pensione
e che prima facevo il giornalista.
Lì è scattato il finimondo. Il giovane è andato a chiamare
un superiore che parlava un po’ di inglese (credo che fosse un caporale). Desidero
subito precisare che sono stati tutti gentilissimi con me: con il pugno di
ferrò, senza scorciatoie di alcun genere, ma sempre con estrema cortesia ed
educazione.
Qui l’interrogatorio si è fatto più insistente perché il
sottufficiale desiderava conoscere in dettaglio le ragioni del mio brevissimo
soggiorno (ma credo che non sarebbe cambiato nulla se fossi rimasto lì dieci
giorni…).
Poi un altro giovane agente, in borghese, che sembrava
essersi trovato a passare lì per caso, si è unito a noi tre e ha dichiarato di
avere studiato l’italiano a scuola perché è una lingua che gli piaceva.
Io ho cercato di giocarmi la cosa sui due terreni, che poi
erano la sacrosanta verità: andarmi a prendere la mia Rivoluzione Lunare e
scattare, possibilmente, delle buone foto del deserto all’alba.
Ma la cosa non migliorava.
Inutile dire che, nonostante avessi disattivato i dati e il
roaming alla partenza, appena atterrato la Vodafone mi aveva inviato il
messaggio “Benvenuto in Algeria. Stai navigando a 6 euro al giorno e hai tot
megabyte a disposizione…”. Niente di più falso: come faceva la TIM in passato, anche
la Vodafone, riesce a mandarti questo messaggio anche se hai il cellulare
spento, ma se poi lo attivi in tutto e per tutto, non riesci neanche a vedere
la posta.
Io volevo mostrare ai miei tre interlocutori le pagine
Amazon che mi riguardavano e anche l’angolo francese del mio sito, ma non sono
riuscito a fare niente anche perché poi ho scoperto che nell’aeroporto di
Algeri non esiste la possibilità di collegarsi a un wi-fi.
Per farla breve, la cosa è andata avanti per più di un’ora,
ma io non mi sono minimamente agitato perché ho pensato: nel peggiore dei casi,
mi sbattono in una cella e certo non possono picchiarmi.
Poi, finalmente, mi hanno lasciato andare.
Raggiungo a piedi l’altro aeroporto e vado al banco Air Algeria per avere la seconda
boarding pass: in tutti i paesi più severi per i visti, non solo non potete
fare il check-in online, ma una volta in aeroporto vi danno solo il biglietto
per la tratta successiva e non tutti quelli che vi occorrono di lì al giorno
dopo. In questo caso mi è stata negata anche tale possibilità perché mi è stato
spiegato che la carta mi sarebbe stata consegnata solo tre ore prima della
partenza del volo.
Mi sono rassegnato e sono rimasto molte ore in uno stanzone
immenso e senza aria condizionata, ma soprattutto isolato dal mondo perché
impossibilitato ad accedere alla rete per mancanza di wi-fi aeroportuale e per
la solita truffa del gestore telefonico, qualunque esso sia.
Ho chiesto se almeno ci fossero le toilette e non devono
avere compreso l’ironia perché mi hanno risposto affermativamente.
Dopo un tempo per me interminabile dove ho bevuto solo un
tazzone di caffè per essere certo di restare sveglio fino a missione compiuta,
sono riuscito a entrare al gate che era ghiacciato e dove mi sono beccato un
colpo di freddo allo stomaco che mi ha fatto stare abbastanza male per due
giorni in cui ho praticato il digiuno totale.
Inutile dire che i liquidi e il computer non interessavano
loro minimamente e mi hanno fatto cenno di passare e forse lo avrebbero fatto
anche se avessi avuto quattro-cinque litri di acqua nella valigia.
Quello che poi mi ha lasciato sconcertato, è stato il numero
di volte che mi hanno controllato i documenti prima di farmi salire a bordo:
cinque volte.
Ho sempre interagito con un uomo giovane, sui trentacinque
anni, sveglio, intelligente e credo anche abbastanza colto. Parlava un inglese
fluente e insieme agli altri agenti è stato a pregare diverso tempo (la sala di
preghiera era a vista, separata solo da vetri trasparenti, all’interno del gate
di partenza).
Lui mi ha controllato una prima volta i documenti.
Gli ho chiesto se il problema wi-fi fosse superabile, ma mi
ha risposto di no.
Quando finalmente hanno annunciato il mio volo, lui stesso
mi ha controllato una seconda volta i vari documenti. Poi, subito dopo, all’ingresso
del bus, un suo collega mi ha ricontrollato tutto.
Quando siamo giunti davanti all’aereo, ci hanno fatto uscire
tutti da una sola porta e lì c’era ad aspettarmi sempre questo agente
gentilissimo che ha controllato di nuovo passaporto, biglietto e non so cos’altro.
Ma subito prima della scaletta, a meno di tre metri da lui, altri due
poliziotti formavano una barriera e ricontrollavano tutto prima di farci salire
a bordo.
Viaggio normale con un Boing 737-600 credo da 300 passeggeri
(nei quattro voli che ho fatto in circa 48 ore, sono stato l’unico caucasico, o
europeo — se preferite — a bordo).
Viaggio di due ore e trenta, come da biglietto acquistato
mesi fa.
Iniziavo a rilassarmi, quando ho capito che non era finito
nulla.
Infatti, già da lontano, ho capito che un ufficiale di
polizia, probabilmente il comandante di quell’aeroporto, aspettava proprio me e
mi chiesto subito il passaporto.
Da osservare che come per tutti i controlli precedenti,
anche questa volta lui mi ha detto di attendere cinque minuti ed è andato via
con il mio passaporto: questo sì, che mi ha inquietato non poco.
Ho visto che parlava con diversi altri poliziotti e mostrava
il mio documento.
Anche questo secondo interrogatorio si è protratto a lungo
e, ad aeroporto ormai chiuso, ero dentro solo io con una dozzina di agenti.
In pratica mi hanno detto qualcosa del tipo: “Ricominciamo d’accapo.
Perché siete qui?”. Lui parlava in francese e io rispondevo in inglese. L’ufficiale
usava spesso Google translator. Poi
sono riuscito a convincerlo a googlare “ciro discepolo” e ci sono stati diversi
“Oh” o cose del genere, però il funzionario non si è lasciato intimidire e ha
voluto che scrivessi sul suo cellulare (il mio non ha mai funzionato nei due
aeroporti e sono riuscito a usarlo solo con il wi-fi dell’hotel): la ragione
precisa del mio viaggio. Io ho risposto: “Sono venuto a prendermi le stelle di
Tamanrasset”.
Quest’ultima mia dichiarazione, redatta anche in tono enfatico,
deve avere smosso qualcosa perché finalmente il mio interlocutore, anche lui
gentilissimo come tutti, ha concluso: “Va bene, ma noi non possiamo mandarla in
giro per Tamanrasset senza scorta!”. Per cui, circa un’ora dopo il mio atterraggio,
scortato da due Jeep della polizia, una davanti al mio taxi e l’altra dietro,
con tre poliziotti armati fino ai denti in ognuna delle due auto, sono
finalmente giunto a destinazione dove ho potuto collegarmi a Internet, mandare
un messaggio rassicurante a Daniela e stare steso un paio d’ore con gli occhi
chiusi, per far riposare la vista, prima di ripartire con il mio driver
personale, anziano, tuareg fiero nel suo abito con millenni di storia, e assai
simpatico, ma che purtroppo non conosceva una sola parola di inglese (io, come
tutti sanno, zoppico molto con la lingua tuareg).
Dato che stavo male con lo stomaco, avrei preferito restare sdraiato a letto, ma non mi sarei perso quell’avventura neanche per tutto l’oro
del mondo e quindi, su di un fuoristrada che procedeva come una nave in
tempesta e con lo stomaco che mi arrivava in gola ogni secondo, mi sono distillato
e goduto ugualmente quei paesaggi magici che mi avevano già rapito nel film di
Bertolucci.
Per il ritorno, copione quasi identico: giungere in
aeroporto tre ore e mezzo prima del volo, ma riuscire ad avere il biglietto
solo un’ora e mezzo prima, senza alcuna certezza che mi avrebbero fatto
imbarcare.
Anche qui non ricordo quante volte mi hanno controllato i
documenti prima di salire a bordo, ma se ne sono infischiati dei liquidi e del
computer della valigia che mi hanno fatto passare senza neanche aprirla.
Partenza alle 4.05 di questa notte e arrivo, come da scheda,
alle 6.30 ad Algeri.
Qui stava per prendermi un coccolone.
Da dove mi trovavo non riuscivo a capire perché l’aereo era
fermo e non ci lasciavano scendere. Quando finalmente sono uscito dall’aeromobile,
sulla parte superiore della scala metallica, ho visto decine di poliziotti
super-armati che avevano circondato l’aereo e ho subito pensato: “Questa volta
non mi faranno domande e mi spareranno con i mitra appena metto il naso fuori!”.
Invece non erano lì per me e io non ho indagato ulteriormente
perché mi è venuta in mente quella scena cult di “Detenuto in attesa di
giudizio”, di Nanni Loi, quando Alberto Sordi che si è già fatto un bel po’ di
carcere senza motivo, sta per tornare al punto di frontiera dove lo avevano
arrestato e immagina di scappare via a piedi, raggiunto, però, dalle raffiche
di mitra degli agenti…
Ciliegina finale sulla torta per poter rientrare a Milano. A
Tamanrasset non mi avevano voluto dare la carta di imbarco anche per Malpensa e
ho dovuto fare una lunga fila per ottenerla. Quindi ho cercato di entrare nella
sala di controllo dei passaporti e qui un agente mi ha fermato indicando che
mancava un timbro sulla carta di imbarco: altra fila in altra zona distante
dell’aeroporto, poi ritorno dal poliziotto di prima che questa volta mi fa
passare, ma vengo nuovamente bloccato dall’addetto ai passaporti:
“Cha lavoro
fate?”.
“Ma nulla, sa, io sono in pensione da molti anni…”.
“Sì, ma prima che lavoro facevate?”
“Giornalista”.
Si è alzato con il mio passaporto ed è andato a chiamare il
suo capo. Hanno voluto che scrivessi a penna il nome del giornale dove avevo
lavorato e in quale città e anche l’indirizzo preciso dell’albergo di
Tamanrasset.
Finalmente l’imbarco con altri tre controlli dei documenti.
Quando sono atterrato a Malpensa avrei voluto baciare la
terra, ma mi è sembrato un po’ plateale e mi sono astenuto.
Però, mi sono preso una soddisfazione senza prezzo: migliaia
di cittadini non europei erano in fila in quel momento per passare il controllo
passaporti: io ho superato tranquillamente la fila, mi sono diretto al piccolo
spazio SmartDocument che non funziona neanche a Vancouver e a New York e che
qui funziona alla grande, e in meno di 20 secondi sono uscito. Quelli che erano
in coda diverse ore fa, credo che siano ancora lì.
Morale?
Non ci sono morali, tranne due considerazioni.
Se soffrite di cuore e non avete il pelo sullo stomaco, non
ci andate.
Ma in caso contrario non vi fate mancare questa full
immersion in un angolo meraviglioso del mondo, con tantissima storia di cui
avere rispetto ed ammirazione.
Il prossimo Convegno Annuale di Astrologia Attiva, ancora aperto al pubblico, si terrà al Grand Hotel Due Golfi, di Sant’Agata sui Due Golfi, vicino Sorrento, nel weekend 21-23 Giugno. Per le prenotazioni e altre notizie potete rivolgervi direttamente all’Hotel.
Vi ricordo che le sessioni del convegno sono rimaste le stesse da molti anni a questa parte:
venerdì: 15-19
sabato: 9-12 e 14-19
domenica: 9-12
Ingresso libero e gratuito. Come sempre parleremo di ciò che vorremo discutere, anche scegliendo più argomenti al momento. Come sanno i “ripetenti”, i nostri convegni si svolgono più secondo la formula della “tavola rotonda” che di un congresso formale. Tutti possono parlare, volendo, ma a braccio.
I menu delle due serate del convegno, per coloro che desiderano stare con noi e cenare assieme.
Cena di venerdì 21 giugno, ore 20, presso il ristorante di Mimmo (Lo stuzzichino)
Menù normale euro 30,00 a persona, esclusa la mancia
Antipasto : Fiorilli di zucchine o parmigiana di melanzane
Primo piatto : pasta e patate con provolone del monaco o ravioli al profumo di limone massese con vongole veraci
Secondo piatto : calamaretti spillo con olive , capperi e pomodorino o involtini di pesce bandiera
Dolce : a scelta
Acqua minerale e vino della casa
Menù dietetico euro 30,00
verdurine di stagione miste
filetto di spigola con insalata
dolce o frutta a scelta
acqua minerale naturale e vino della casa
Cena di sabato sera 22 giugno, ore 20, nella sala panoramica (quella dove facciamo colazione) del Grand Hotel Due Golfi.
Euro 40,00 a testa, mancia esclusa, comprensivo di antipasto, primo piatto, secondo piatto, dolce e vino.
Si prega prenotarsi con anticipo inviando una mail con oggetto cena Convegno Discepolo a:mariorusso@grandhotelduegolfi.com
Menù:
Antipasti (uno tra questi)
Tentacoli di polpo arrostito su crema di zucchine con salsa alla pizzaiola e ceci croccanti
Tartare di salmone su mousse di patate allo scalogno, insalatina di erbette e salsa ai cinque fiori
Piatto fantasia bufala campana, prosciutto San Daniele e bruschetta ai due pomodorini
Primi (uno tra questi)
Mezzi paccheri di Gragnano con vongole veraci, noci di Sorrento e basilico
Spaghetti di grano duro ai sapori del cantone
Scialatiello dell’autore con melanzane e provola di Agerola
Secondi (uno tra questi)
Turbante di branzino e gamberone su brunoise di verdure
Orata del golfo in panatura di agrumi
Tagliata di Angus al coriandolo su ruchetta, pomodorini e scaglie di parmigiano, dressing all’aceto di Modena
Dessert
Delizia al limone di Sorrento
Crostatine di frutta fresca
Babà crema e amarena
vino Falanghina o Aglianico
Coloro che desiderassero cenare con altre pietanze, sono pregati di sedersi a tavoli separati e di ordinare alla carta. Questo vale sia per la cena allo Stuzzichino che per quella al Grand Hotel Due Golfi. Grazie.
Per Tutti. Non è una notizia importante, ma vi invito a leggerla perché potrà spiegare, a qualcuno, il perché di un certo rumore di fondo che disturba, da qualche anno, l’Astrologia:
For Everybody. It is not an important news, but I invite you to read it because it can explain, to someone, the why of a certain noise leading that disturbs, from a few years, the astrology:
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A che ora sarà il mio compleanno? (At what time I will have my Solar Return?): http://www.cirodiscepolo.it/inetpub/vvrot/oroscopi/rsmirata.asp
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Quanto vale il mio rapporto di coppia?
Test Your Couple Compatibility: http://www.cirodiscepolo.it/inetpub/oroscopi_net/coppia_free/coppia1.asp
Una bibliografia quasi completa di Ciro Discepolo:
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