La necessità di una end-line in
giurisprudenza
A mio parere
sarebbe necessario stabilire una end-line,
una linea di confine, un punto assoluto e non valicabile, in giurisprudenza,
che rappresenti davvero una barriera ineludibile a migliaia di situazioni
attualmente governate dal nonsenso.
Noi diciamo
spesso “oltre ogni ragionevole dubbio.” Però diciamo anche che è necessaria una
prova assoluta. E sovente facciamo
l'esempio di prova assoluta riferendoci alla “pistola fumante”, vale a dire: le
forze dell'ordine giungono sul luogo del delitto pochi secondi dopo il delitto
stesso e viene trovato il presunto assassino ancora con la pistola in mano da
cui sta uscendo fumo e poi si verificherà che quella è la pistola da cui è
partito il proiettile che ha ucciso la vittima e quindi in quel caso non ci
potrà essere neanche lontanamente un solo dubbio sulla colpevolezza del
condannato. Ma ciò non è assolutamente vero.
Ne ho già parlato in più di un video YouTube,
ne ho scritto in più di un mio blog e l'ho riportato anche all'interno di miei
libri facendo l’esempio, con nome e cognome, di un caso notissimo di un
pregiudicato che aveva ucciso davanti alle telecamere di un bar nel rione
Sanità di Napoli, a pochi metri dalla telecamera, un altro pregiudicato che
sedeva all'esterno di quel locale. La vittima beveva un caffè e lui aveva
estratto la pistola e lo aveva ucciso. Ecco, allora più “pistola fumante” di
quella non ce ne possono essere. Eppure in quel caso i suoi avvocati riuscirono
a farlo assolvere, e non starò qui a ripetere come fecero, perché poi
potrebbero cambiare le modalità, ma io credo che non ci siano limiti alle
capacità di bravi avvocati, di cancellare anche una pistola fumante. Dunque
dovremmo interrogarci e chiederci come riuscire, come fare in modo tale che
esista davvero, nel Diritto, una linea di confine, assoluta.
Come dicevo una end-line che non si
può e non si deve superare perché altrimenti tutto diventa relativo e se tutto
diventa relativo, in una giurisprudenza in cui il rapporto è già troppo
sbilanciato a favore della difesa, laddove invece si è sempre detto e si dice
ancora in ogni sede che la costituzione italiana prevede un’assoluta parità tra
l’accusa e la difesa in ogni processo, i “giochi diventano truccati.”
Anche ciò l’ho dimostrato riferendomi, per esempio, al caso di Adriano Sofri che ebbe nove, dieci, dodici processi e solo dopo ventotto anni dall’omicidio andò in prigione. Un imputato, invece, giudicato innocente dopo tre gradi di giudizio, non potrà più essere processato per lo stesso reato, anche se dovessero emergere nuove e schiaccianti prove contro di lui!
Allora io credo
che si dovrebbe stabilire, invece, appunto, un qualcosa che possa rappresentare
un macigno, un assoluto, un confine inviolabile, come il monolito, per fare un
esempio alto sul piano culturale, il monolito del film 2001 Odissea Nello Spazio che immaginarono Stanley Kubrick ed
Arthur C. Clarke. Esso rappresentava il punto di inizio e il punto di fine di
ogni discorso possibile sull’evoluzione dell’uomo sulla vita, sulla Terra e
sulla vita anche fuori della Terra.
E questo macigno, secondo me, questa end-line
potrebbe e dovrebbe essere il DNA di un soggetto sul corpo della vittima.
Allora io vorrei
spendere qualche parola su ciò riferendomi a tre suggestioni particolari.
Il primo riguarda
la figura, ma dovremmo dire più esattamente la caricatura di un avvocato così come
lo immaginano i fratelli Coen nel film “L’uomo che non c’era”, un avvocato
molto particolare, e poi vorrei riferirmi a due film di fantascienza, ma non
per questo meno credibili, che io ho amato e che amo tantissimo e che sono “Codice
46” e “Gattaca.”
Allora cominciamo
dal primo, vale a dire la figura, ma dovremmo forse etichettarla più come la “macchietta”
del film “L’uomo che non c’era” dei fratelli Ethan e Joel Coen. Si tratta della
figura di questo avvocato, Freddy Riedenschneider, interpretato da un
fantastico Tony Shaloub.
Freddy
Riedenschneider, il penalista principe del foro di Sacramento incaricato di
difendere prima la moglie del barbiere e poi il barbiere stesso. Qui, forse, i
Coen, si sono accaniti con una verve alquanto esagerata. Vero è che gli
avvocati, negli Stati Uniti, sono generalmente assai odiati, ma in questo caso
– si direbbe – vengono addirittura crocefissi.
Freddy
Riedenschneider è davvero una “macchietta”: chiede parcelle da
capogiro,
alloggia nella suite Turandot del Metropolitan, si ingozza
con smisurati
piatti di spaghetti al Da Vinci,
assume detective e
soprattutto si
prepara al “grande show” quando lui, anziché proporre
una linea
difensiva basata sui fatti, tenterà di affabulare, di ipnotizzare la giuria, di
convincerla, addirittura, dell’impossibilità di giudicare e, dunque,
instillando nella mente dei suoi componenti quel ragionevole dubbio che farà
assolvere l’imputato. Tutto il suo castello difensivo si baserà su una “strana
teoria” letta da qualche parte: “il principio di indeterminazione di un certo
tedesco secondo il quale non è possibile guardare la realtà senza alterarla –
involontariamente – proprio per averla osservata.” Egli è certo che quando la
giuria ascolterà tale principio scientifico si convincerà che non è possibile
giudicare l’accusata (e poi l’accusato) e riuscirà a far nascere in loro il
“ragionevole dubbio.”
Allora, ovviamente, qui i fratelli Coen che
evidentemente odiano, come me, un certo tipo di avvocati, non tutti gli
avvocati, ovviamente (tra i miei amici ce ne sono di carissimi, amici ed amiche
che sono ottimi avvocati e che io stimo molto, però un certo tipo di avvocati,
sì, io diciamo, ripetendo la battuta che c'è nel film Philadelphia, quando uno chiede all'altro: “Sai cosa fanno cinque
avvocati incatenati in fondo all'oceano? E l'altro risponde: “No, non lo so,
cosa fanno?” E il primo: “Un buon inizio”. Ecco, anche io, se parliamo al
limite e non stiamo parlando della stragrande maggioranza di ottimi
professionisti sia nel civile che nel penale, allora determinati avvocati assai
somiglianti a quel Freddy Riedenschneider dei fratelli Coen, io li vedrei
volentieri incatenati in fondo all'oceano) hanno esasperato il concetto, ma la
sostanza resta giusta, a mio parere.
Però non perdiamo
di vista il nostro scopo, cioè qui, dichiaratamente, i fratelli cineasti vogliono
mettere sotto accusa il principio che “a
tutti i costi si deve salvare l’accusato.”
Naturalmente
secondo la visione di alcuni avvocati, non da parte di tutta l'opinione
pubblica la quale invece, al contrario, non è affatto d'accordo su questa linea
difensiva. Ora, ciascuno di noi, se parliamo della “strage di Erba” o di Bossetti
o dell'omicidio della giovane Chiara Poggi di Garlasco, magari insorgerà
perché, come dire, è angosciato da alcuni dubbi che probabilmente gli sono
stati instillati da maliziosi avvocati o anche ottimi avvocati i quali hanno
posto in essere tutta una serie di punti di domanda nel corso di una
trasmissione televisiva, e va bene, e questo ci può stare; però io vi invito
anche a cercare di allargare il vostro campo visivo e a immaginare se voi
anziché essere uno spettatore terzo in una vicenda come quella di Bossetti o
come quella della strage di Erba, se voi foste il parente stretto di una delle
vittime di questi fatti, prendiamo la mamma o il padre della piccola Yara Gambirasio, ma davvero pensate che aspirereste, in linea di principio, a
valicare quella linea assoluta, e sottolineo, assoluta, che divide la possibilità che ci sia anche un solo
ragionevole dubbio che eviti una condanna?
Ecco, io su questo vi solleciterei a riflettere e magari riprenderemo in
chiusura di queste poche mie note di riflessioni sull'argomento l’item a cui ho
accennato all'inizio del presente scritto e cioè a due film meravigliosi che
fanno parte dei miei film preferiti di ogni epoca e di ogni cinema, di ogni
scuola di cinema e che sono appunto “Codice 46” e “Gattaca.”
Allora, I due
film in oggetto, ripeto, sono “Gattaca” pellicola statunitense del 1997, del regista
Andrei Niccol e “Codice 46”, produzione britannica del 2003 a cura del regista
Michael Winterbottom. Le pellicole hanno un nesso in comune, una società del
nostro prossimo futuro governata, amministrata e pianificata da un totale
controllo genetico che tende in tutta evidenza a limitare al minimo gli errori
sui “non-validi.” E allora brevemente dirò che appunto nel film “Gattaca” si
vede che l'umanità viene divisa tra validi e non-validi. I validi sono quelle
persone concepite in provetta in cui il DNA è stato selezionato e i genitori, a
tavolino, con la consulenza di un genetista, decidono il colore degli occhi,
dei capelli, se il figlio sarà un musicista o sarà uno sportivo, un ingegnere o
un poeta e stabiliranno anche tutta un’altra serie di caratteristiche
scegliendole attraverso un catalogo se lo preferiranno vegetariano o diciamo ad
alimentazione standard e mille altre cose ancora. Poi ci sono i non-validi,
cioè quelli che noi chiameremmo sfigati
che sono nati come ultimo, come dire, sguardo malinconico al passato tra due
genitori che si sono appartati nella parte posteriore della loro auto e hanno
concepito ispirandosi all’amore.
E lì vengono fuori disastri perché appena nato il bambino c’è subito un medico
che con un ago emetterà la sentenza e quindi ci dirà che per esempio questo
bambino non avrà un quoziente intellettivo molto alto, che sarà un mediocre e
che addirittura avrà un difetto cardiaco che probabilmente lo porterà a morte a
trentatré anni. E quindi, di conseguenza, tutta la società così concepita e
così strutturata poi si comporterà in maniera razzista e assegnerà ai validi i primi
posti nella scala della società e gli ultimi posti ai non-validi, gli ultimi
step della scala sociale: essi dovranno fare le pulizie.
E questa è la
storia proprio di un non-valido, con un difetto al cuore, che invece sogna,
ovviamente per una compensazione di natura assolutamente freudiana, di voler diventare,
addirittura, un’astronauta, cioè di voler raggiungere le stelle, lui che è
schiacciato dalla società a pulire i gabinetti dei validi.
Poi, va bene, non
vi sto a raccontare la storia, vi consiglio di vederlo perché è un film
meraviglioso con attori straordinari oltre che bellissimi, sia al maschile che al
femminile e poi l’altro che invece è “Codice 46” che descrive sempre una
società in cui tutto viene stabilito dal DNA e quindi con il DNA si tiene sotto
controllo l’intera popolazione mondiale.
Entrambi sono
anche dei gialli ad indirizzo crime.
Qual è il nesso tra il primo ed il secondo film? Che il DNA, come è giusto che
sia, rappresenta un valore assoluto,
quindi ciò significa che se viene trovato il DNA del soggetto A sul corpo
ucciso del soggetto B, beh a meno che il soggetto A non sappia dare una
spiegazione assolutamente convincente di come è riuscito a depositare il
proprio DNA sulla biancheria intima del soggetto B, lì non occorrerà neanche un
processo perché il DNA è un valore così assoluto che non ci potranno essere
dubbi di alcun genere sulla colpevolezza dell’assassino e si procederà di conseguenza.
E i dubbi sono
ancora un retaggio di un mondo romantico, ormai superato, che può andare bene
per la narrativa, per la fiction, ma che non va bene per una società moderna
che avendo raggiunto questo traguardo lo può utilizzare, per esempio, se noi
pensiamo a tutti gli anni sprecati e al fiume di denaro e di tempo gettati via
da magistrati, avvocati e tutto il mondo che riguarda l’apparato giudiziario di
un paese, la stampa, i media, ma anche il tempo di telespettatori o di semplici
cittadini che seguono quel caso: ecco dieci anni magari buttati nella toilette
quando in possesso di un valore assoluto non si va oltre e qui ovviamente il
collegamento con la faccenda di Bossetti è schiacciante, a mio parere, perché
abbiamo detto che:
A) il DNA di Massimo
Giuseppe Bossetti è stato trovato sulle mutandine della piccola Yara e sui suoi
leggins.
B) che tra Bossetti
e la piccola Yara non c’era possibilità alcuna di contatto neanche casuale
perché come ha ammesso lo stesso assassino loro non si conoscevano e non si
frequentavano.
C) lui non ha saputo dare una spiegazione di come si trovasse il suo DNA sulle
mutandine di Yara e questo è importantissimo perché se lui avesse detto, non so
“ci siamo trovati tutti e due nel bar a cento metri dalla palestra, è scoppiato
un incendio, ci siamo denudati per non farci prendere dalle fiamme e io, in
quel momento, ho avuto un sanguinamento dal naso e delle gocce sono cadute
sulle mutandine della piccola Yara, poi ci siamo salvati, ci siamo salutati, io
me ne sono andato…” Questa potrebbe essere una spiegazione (ovviamente tutta da
verificare), ma non c'è, perché lui, Yara, dice che non l’ha mai vista in vita
sua.
D) Non c’è alcuna
possibilità da parte della scienza di accettare che quel DNA non sia di
Bossetti, ma che possa appartenere a un’altra persona che rassomigli a
Bossetti.
Quindi su questi
quattro punti non si va oltre. Dice: ma allora il DNA sulla manica del giubbino
di Yara che corrispondeva a quello della sua insegnante nella palestra? E va
bene, ma questo allora…
Torniamo
all'avvocato Freddy Riedenschneider di cui parlavamo prima, cioè: noi vogliamo
andare veramente a instillare quel “ragionevole” dubbio in presenza del quale
tutte le giurie devono assolvere tutti gli imputati?
Là c'è una
spiegazione logica ed è stato spiegato anche in dibattimento: non sono vere le
cose dichiarate in proposito, cioè che la procura non abbia indagato, che
volutamente abbia lasciato affossare quella pista.
Non è vero niente, hanno indagato, ma il DNA sul polsino della ragazzina è
chiaramente un DNA da contatto estemporaneo che dato che i due soggetti si
frequentavano all'interno della palestra è probabilissimo che si siano
sfiorati, che si siano toccate, che ci sia stato un contatto occasionale all’interno
di quella palestra, ma di lì a incominciare a insinuare il dubbio che l’insegnante,
come mostrava il viso corrucciato di uno dei due giornalisti che hanno portato
avanti tutto lo spot a favore di Bossetti e che addirittura mimava il gesto
dell’insegnante che trascinava con il polso e la mano il corpo della piccola
Yara dentro la palestra, beh, ma allora qui veramente chi dice questo significa
che la end-line nel campo della
giurisprudenza non la vuole affatto e non la vorrà mai!
E se non la si vuole, allora torniamo ad una frase, come dire, ad un motto famoso che è scritto dappertutto e che io mi sento di fare mio ancora una volta:
“Se credi
ciò, allora puoi credere qualunque cosa.”
Aggiornamento del 5/9/2024
Ecumenismo o ammucchiate.
È un antico dilemma sempre presente, soprattutto oggi.
Personalmente trovo ripugnante il “vogliamoci tutti bene”
che è un chiaro indizio di mancanza di idee prim’ancora che di spina dorsale. E
ne ho scritto varie volte, anche quando, da laico, ho apprezzato molto papa
Benedetto XVI che affermava: “Sì, sono disposto al dialogo con tutti, ma
premettendo che io sono cattolico, tu sei islamico, lui è…”
Mi piace assai meno (e qui, forse, c’è l’unico punto di
contatto tra chi scrive e Piergiorgio Odifreddi) l’ecumenismo “a prescindere”
dell’attuale pontefice e, diciamo così, le sue scelte che sembrano preoccuparsi
molto di “restare nel mezzo delle questioni”, come l’odierna “non presa di
posizione” a proposito di Medjugorje.
In Astrologia, poi, non ne parliamo…
Il “Chi sono io per censurare i reincarnazionisti?” (o “gli
astrologi quantici”, i “sideralisti”, “quelli senza Case” (o senza palle?), i “negazionisti
della precessione degli equinozi” e chi più ne ha più ne metta) è soltanto una
faccia del mignottismo con cui legioni di cialtroni cercano di accreditarsi
come “simpatici”, ma sono soltanto dei “vu’ cumprà?” dell’oroscopia.
Ed i peggiori non sono tanto costoro, che cadrebbero
miseramente se si facessero loro anche solo cinque domande di base (a cui
potrebbero rispondere anche bambini ignoranti), ma i loro fiancheggiatori,
ovvero coloro che qualcosa di Astrologia la conoscono, ma che sono diventati
mercenari di banditi travestiti da astrologi.
Genesi, anatomia e semeiotica delle previsioni in
Astrologia. Astrologia & Criminologia 68, by Ciro Discepolo e Daniela Discepolo
Boscotrecase:
A proposito della mia previsione di arresto di Sebastiano
Visintin.
Aggiornamento del 18/10/2024
Il cerchio si stringe…
Sul giallo di Liliana Resinovich di Trieste.
Ormai il conto alla rovescia è già partito da alcune
settimane ed ogni giorno si aggiungono evidenze scientifiche incontrovertibili
che spazzano via la ridicola opzione del suicidio-teatrino che molti
opinionisti, giornalisti e consulenti, soprattutto di Sebastiano Visintin, sono
riusciti ad accreditare per quasi tre anni di seguito.
La giustizia per la povera Lilli è sempre più vicina e la
eccellente professoressa Cristina Cattaneo, medico patologo di fama mondiale
che tutti ci invidiano, sta per offrirla ai parenti della vittima.
Lo ha ribadito, ancora una volta, la dottoressa Giusti che
fa parte del team di esperti che sta lavorando al caso. La dottoressa Giusti,
ancora una volta, questo pomeriggio, e soprattutto a suffragio dei sordi che
sono tali perché non vogliono sentire, ha ribadito alcune importantissime
anticipazioni di quella che sarà la perizia della professoressa Cattaneo:
-
La rima di frattura alla colonna vertebrale
trovata nella seconda autopsia, è PERIMORTEM. Traduzione: avvenuta pochi minuti
o poche ore prima della morte.
-
Sul corpo della vittima sono state trovare
diverse lesioni (più di quelle riscontrate nella prima autopsia), lesioni che
hanno comportato copiose perdite di sangue.
-
I vestiti che indossava Lilli nel boschetto, al
momento del ritrovamento, erano pulitissimi: come se fossero stati appena
lavati in lavanderia.
Se incrociate questi tre elementi, pur se siete ipovedenti,
riuscirete a comprendere che Liliana Resinovich fu percossa, quindi uccisa (o
lasciata morire per asfissia dopo le percosse) e poi, solo poche ore prima del
ritrovamento, trasportata sulla scena-teatrino del boschetto.
Chi è stato? Lo sanno tutti… E stiamo giungendo alla chiusura del cerchio.
NON CI STO. Questo è il Cielo di Nascita di un nevrotico,
assai nevrotico, data una stretta opposizione di Nettuno al Sole alla nascita,
ma non è il cielo di uno psicotico. Sono certo che altri periti potrebbero
provare la sua capacità di intendere e di volere al momento della strage. Non
sarebbe la prima volta. Ricordiamo altri casi che ho trattato in passato:
- Adam Kabobo, il "killer del piccone" che uccise
a caso, a Milano, l’11 Maggio del 2013 “perché udiva delle voci che glielo
ordinavano…”
- Maurizio Minghella, serial killer di prostitute (che
violentava anche con rami d’albero) che fu liberato grazie ad una grossa
campagna mediatica di don Andrea Gallo e poi, una volta fuori, ricominciò ad
uccidere ed ammazzò diverse altre prostitute.
- Roberto Succo che massacrò i genitori. Poi inviato in una
Rems da dove scappò facilmente e, per anni, in Francia e in Italia, continuò ad
uccidere, rubare, stuprare, aggredire…
La perizia psichiatrica non è come un test del DNA. E nel caso di Giovanni Barreca credo ci sia il sesso di mezzo. Intanto lui avrebbe “dimenticato” di uccidere la figlia diciassettenne. Mi sembra che si stia correndo troppo.
Per Tutti. Non è una notizia importante, ma vi invito a leggerla perché potrà spiegare, a qualcuno, il perché di un certo rumore di fondo che disturba, da qualche anno, l’Astrologia:
http://ilblogperidepressi.wordpress.com/
For Everybody. It is not an important news, but I invite you to read it because it can explain, to someone, the why of a certain noise leading that disturbs, from a few years, the astrology:
http://ilblogperidepressi.wordpress.com/
Ciro Discepolo
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Una bibliografia quasi completa di Ciro Discepolo:
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