domenica 16 giugno 2019

My journey in Tamanrasset, South Algeria




Il mio viaggio a Tamanrasset, estremo sud sahariano dell’Algeria 


Sicuramente è stato uno dei più difficili della mia vita, sia per la durezza degli orari dei trasferimenti e sia per i controlli di polizia, ma se ce ne fosse l’esigenza, ci tornerei volentieri.

Già procurarmi il visto non è stata cosa da poco: per quello che in Algeria si chiama il Grande Sud, ci sono leggi e regolamenti speciali e la difficoltà di ottenere un visto è decisamente superiore perfino a quella di riuscire a soggiornare in Arabia Saudita. Pur essendo stato facilitato dalla presenza di un efficientissimo consolato a Milano, ho dovuto combattere non poco. La cosa funziona esattamente come nei paesi arabi tipo Arabia Saudita: potete andare lì, solo se invitati da qualcuno del luogo. 
Daniela è stata bravissima a trovare, fuori dai circuiti TripAdvisor e simili, l’hotel dove poi sono stato che è anche agenzia turistica locale e che mi ha fatto da sponsor facendo pervenire l’invito al consolato algerino a Milano.

Sono partito, quindi, abbastanza tranquillo che non vi fossero altri problemi che, invece, purtroppo, ho trovato.

Mancavo da Algeri da undici anni. Ricordo che fu un viaggio brevissimo, come tutte le mie lunari, di solo poche ore. Vidi migliaia di poliziotti per le strade, con posti di blocco ogni 100-200 metri.
Più che criticare cercai di capire e mi feci aiutare da persone del luogo.
L’Algeria stava affrontando — e credo che sia ancora impegnata su questo fronte — il problema di fasce estremiste che tendevano alla radicalizzazione e vi erano stati piccoli, ma non insignificanti massacri, in diversi villaggi interni. Ricorderete anche di quei marittimi italiani, otto o nove pescatori di Torre Annunziata e di Torre del Greco, se ricordo bene, sgozzati sul loro peschereccio mentre dormivano.
In altri paesi, vedi la Siria, dove tali episodi non sono stati immediatamente controllati e anche dominati, è poi successo quello che tutti sapete.

Desidero aggiungere che, come tantissimi democratici di tutto il mondo, da ragazzo feci il tifo per l’indipendenza che l’Algeria conquistò dopo 130 anni di dominazione francese.
Film come la Battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo, e Lo sciacallo, mi avevano assai sensibilizzato al problema.
Dunque, posso dire, che nutro una spontanea simpatia verso questo paese.

Ritornarci dopo undici anni e trovare un fortissimo stato di polizia, lo comprendo e lo accetto, ma ho comunque avuto non poche difficoltà a realizzare il mio breve soggiorno lì.
Certo, se potessi fare come molti, RL di 5-6 giorni, probabilmente non avrei avuto questi problemi, ma non posso permettermelo.

Da Milano c’è un volo giornaliero, diretto, con Air Algeria, che alle 14.15, in circa due ore vi porta ad Algeri. Qui occorre spostarsi dall’aeroporto internazionale a quello dei voli domestici: circa un chilometro a piedi, all’esterno, e attendere la coincidenza con il volo Algeri-Tamanrasset che parte alle 23 e impiega due ore e trenta per giungere nell’estremo sud del Paese.

Avendo ottenuto un visto non facile dal consolato milanese, pensavo di avere esaurito i problemi. All’ufficio di Milano avevo portato dei miei libri, sia di astrologia che di fotografia, per spiegare le ragioni del mio viaggio, ma evidentemente il visto ricevuto non mi dava diritto ad alcunché.
Ritornando alle tappe del mio spostamento, io dovevo giungere all’1.30 a Tamanrasset per poi ripartire la notte dopo alle 4.05 con lo stesso volo. Andarmene a dormire non se ne parlava proprio e io non stavo nei panni pensando allo spettacolo del deserto visto e fotografato pochi minuti prima e dopo dell’alba. Così ho fatto. Poi ho tentato di dormire (senza riuscirci) un po’ di ore in hotel, prima di tornare in aeroporto per imbarcarmi sul volo di ritorno: dalle 4.05 alle 6.30 fino ad Algeri e dalle 10.30 alle 13.30 (l’Italia è a un fuso orario più avanti) a Malpensa.
In pratica due giorni e due notti senza dormire, ma ne valeva la pena!

Torniamo al mio arrivo ad Algeri. Pochi minuti di fila e sono davanti ad un giovane poliziotto che mi controlla passaporto, visto e cartoncino accompagnatorio da me riempito in ogni più piccolo particolare.
L’agente mi chiede che lavoro faccio. Qui sapevo benissimo che se avessi detto giornalista, mi sarei attirato tutto il mondo addosso, ma sfortunatamente non avevo alternative perché sapevo perfettamente che avrebbero controllato in tempo reale sui social.

Ho risposto che non lavoravo più da molti anni, che ero in pensione e che prima facevo il giornalista.
Lì è scattato il finimondo. Il giovane è andato a chiamare un superiore che parlava un po’ di inglese (credo che fosse un caporale). Desidero subito precisare che sono stati tutti gentilissimi con me: con il pugno di ferrò, senza scorciatoie di alcun genere, ma sempre con estrema cortesia ed educazione.
Qui l’interrogatorio si è fatto più insistente perché il sottufficiale desiderava conoscere in dettaglio le ragioni del mio brevissimo soggiorno (ma credo che non sarebbe cambiato nulla se fossi rimasto lì dieci giorni…).

Poi un altro giovane agente, in borghese, che sembrava essersi trovato a passare lì per caso, si è unito a noi tre e ha dichiarato di avere studiato l’italiano a scuola perché è una lingua che gli piaceva.
Io ho cercato di giocarmi la cosa sui due terreni, che poi erano la sacrosanta verità: andarmi a prendere la mia Rivoluzione Lunare e scattare, possibilmente, delle buone foto del deserto all’alba.
Ma la cosa non migliorava.

Inutile dire che, nonostante avessi disattivato i dati e il roaming alla partenza, appena atterrato la Vodafone mi aveva inviato il messaggio “Benvenuto in Algeria. Stai navigando a 6 euro al giorno e hai tot megabyte a disposizione…”. Niente di più falso: come faceva la TIM in passato, anche la Vodafone, riesce a mandarti questo messaggio anche se hai il cellulare spento, ma se poi lo attivi in tutto e per tutto, non riesci neanche a vedere la posta.

Io volevo mostrare ai miei tre interlocutori le pagine Amazon che mi riguardavano e anche l’angolo francese del mio sito, ma non sono riuscito a fare niente anche perché poi ho scoperto che nell’aeroporto di Algeri non esiste la possibilità di collegarsi a un wi-fi.
Per farla breve, la cosa è andata avanti per più di un’ora, ma io non mi sono minimamente agitato perché ho pensato: nel peggiore dei casi, mi sbattono in una cella e certo non possono picchiarmi.
Poi, finalmente, mi hanno lasciato andare.

Raggiungo a piedi l’altro aeroporto e vado al banco Air Algeria per avere la seconda boarding pass: in tutti i paesi più severi per i visti, non solo non potete fare il check-in online, ma una volta in aeroporto vi danno solo il biglietto per la tratta successiva e non tutti quelli che vi occorrono di lì al giorno dopo. In questo caso mi è stata negata anche tale possibilità perché mi è stato spiegato che la carta mi sarebbe stata consegnata solo tre ore prima della partenza del volo.

Mi sono rassegnato e sono rimasto molte ore in uno stanzone immenso e senza aria condizionata, ma soprattutto isolato dal mondo perché impossibilitato ad accedere alla rete per mancanza di wi-fi aeroportuale e per la solita truffa del gestore telefonico, qualunque esso sia.
Ho chiesto se almeno ci fossero le toilette e non devono avere compreso l’ironia perché mi hanno risposto affermativamente.

Dopo un tempo per me interminabile dove ho bevuto solo un tazzone di caffè per essere certo di restare sveglio fino a missione compiuta, sono riuscito a entrare al gate che era ghiacciato e dove mi sono beccato un colpo di freddo allo stomaco che mi ha fatto stare abbastanza male per due giorni in cui ho praticato il digiuno totale.

Inutile dire che i liquidi e il computer non interessavano loro minimamente e mi hanno fatto cenno di passare e forse lo avrebbero fatto anche se avessi avuto quattro-cinque litri di acqua nella valigia.
Quello che poi mi ha lasciato sconcertato, è stato il numero di volte che mi hanno controllato i documenti prima di farmi salire a bordo: cinque volte.

Ho sempre interagito con un uomo giovane, sui trentacinque anni, sveglio, intelligente e credo anche abbastanza colto. Parlava un inglese fluente e insieme agli altri agenti è stato a pregare diverso tempo (la sala di preghiera era a vista, separata solo da vetri trasparenti, all’interno del gate di partenza).
Lui mi ha controllato una prima volta i documenti.
Gli ho chiesto se il problema wi-fi fosse superabile, ma mi ha risposto di no.
Quando finalmente hanno annunciato il mio volo, lui stesso mi ha controllato una seconda volta i vari documenti. Poi, subito dopo, all’ingresso del bus, un suo collega mi ha ricontrollato tutto.
Quando siamo giunti davanti all’aereo, ci hanno fatto uscire tutti da una sola porta e lì c’era ad aspettarmi sempre questo agente gentilissimo che ha controllato di nuovo passaporto, biglietto e non so cos’altro. Ma subito prima della scaletta, a meno di tre metri da lui, altri due poliziotti formavano una barriera e ricontrollavano tutto prima di farci salire a bordo.

Viaggio normale con un Boing 737-600 credo da 300 passeggeri (nei quattro voli che ho fatto in circa 48 ore, sono stato l’unico caucasico, o europeo — se preferite — a bordo).
Viaggio di due ore e trenta, come da biglietto acquistato mesi fa.

Iniziavo a rilassarmi, quando ho capito che non era finito nulla.
Infatti, già da lontano, ho capito che un ufficiale di polizia, probabilmente il comandante di quell’aeroporto, aspettava proprio me e mi chiesto subito il passaporto.
Da osservare che come per tutti i controlli precedenti, anche questa volta lui mi ha detto di attendere cinque minuti ed è andato via con il mio passaporto: questo sì, che mi ha inquietato non poco.
Ho visto che parlava con diversi altri poliziotti e mostrava il mio documento.
Anche questo secondo interrogatorio si è protratto a lungo e, ad aeroporto ormai chiuso, ero dentro solo io con una dozzina di agenti.

In pratica mi hanno detto qualcosa del tipo: “Ricominciamo d’accapo. Perché siete qui?”. Lui parlava in francese e io rispondevo in inglese. L’ufficiale usava spesso Google translator. Poi sono riuscito a convincerlo a googlare “ciro discepolo” e ci sono stati diversi “Oh” o cose del genere, però il funzionario non si è lasciato intimidire e ha voluto che scrivessi sul suo cellulare (il mio non ha mai funzionato nei due aeroporti e sono riuscito a usarlo solo con il wi-fi dell’hotel): la ragione precisa del mio viaggio. Io ho risposto: “Sono venuto a prendermi le stelle di Tamanrasset”. 
Quest’ultima mia dichiarazione, redatta anche in tono enfatico, deve avere smosso qualcosa perché finalmente il mio interlocutore, anche lui gentilissimo come tutti, ha concluso: “Va bene, ma noi non possiamo mandarla in giro per Tamanrasset senza scorta!”. Per cui, circa un’ora dopo il mio atterraggio, scortato da due Jeep della polizia, una davanti al mio taxi e l’altra dietro, con tre poliziotti armati fino ai denti in ognuna delle due auto, sono finalmente giunto a destinazione dove ho potuto collegarmi a Internet, mandare un messaggio rassicurante a Daniela e stare steso un paio d’ore con gli occhi chiusi, per far riposare la vista, prima di ripartire con il mio driver personale, anziano, tuareg fiero nel suo abito con millenni di storia, e assai simpatico, ma che purtroppo non conosceva una sola parola di inglese (io, come tutti sanno, zoppico molto con la lingua tuareg).

Dato che stavo male con lo stomaco, avrei preferito restare sdraiato a letto, ma non mi sarei perso quell’avventura neanche per tutto l’oro del mondo e quindi, su di un fuoristrada che procedeva come una nave in tempesta e con lo stomaco che mi arrivava in gola ogni secondo, mi sono distillato e goduto ugualmente quei paesaggi magici che mi avevano già rapito nel film di Bertolucci.

Per il ritorno, copione quasi identico: giungere in aeroporto tre ore e mezzo prima del volo, ma riuscire ad avere il biglietto solo un’ora e mezzo prima, senza alcuna certezza che mi avrebbero fatto imbarcare.
Anche qui non ricordo quante volte mi hanno controllato i documenti prima di salire a bordo, ma se ne sono infischiati dei liquidi e del computer della valigia che mi hanno fatto passare senza neanche aprirla.
Partenza alle 4.05 di questa notte e arrivo, come da scheda, alle 6.30 ad Algeri.

Qui stava per prendermi un coccolone.
Da dove mi trovavo non riuscivo a capire perché l’aereo era fermo e non ci lasciavano scendere. Quando finalmente sono uscito dall’aeromobile, sulla parte superiore della scala metallica, ho visto decine di poliziotti super-armati che avevano circondato l’aereo e ho subito pensato: “Questa volta non mi faranno domande e mi spareranno con i mitra appena metto il naso fuori!”.

Invece non erano lì per me e io non ho indagato ulteriormente perché mi è venuta in mente quella scena cult di “Detenuto in attesa di giudizio”, di Nanni Loi, quando Alberto Sordi che si è già fatto un bel po’ di carcere senza motivo, sta per tornare al punto di frontiera dove lo avevano arrestato e immagina di scappare via a piedi, raggiunto, però, dalle raffiche di mitra degli agenti…

Ciliegina finale sulla torta per poter rientrare a Milano. A Tamanrasset non mi avevano voluto dare la carta di imbarco anche per Malpensa e ho dovuto fare una lunga fila per ottenerla. Quindi ho cercato di entrare nella sala di controllo dei passaporti e qui un agente mi ha fermato indicando che mancava un timbro sulla carta di imbarco: altra fila in altra zona distante dell’aeroporto, poi ritorno dal poliziotto di prima che questa volta mi fa passare, ma vengo nuovamente bloccato dall’addetto ai passaporti: 
“Cha lavoro fate?”. 
“Ma nulla, sa, io sono in pensione da molti anni…”.
“Sì, ma prima che lavoro facevate?”
“Giornalista”.

Si è alzato con il mio passaporto ed è andato a chiamare il suo capo. Hanno voluto che scrivessi a penna il nome del giornale dove avevo lavorato e in quale città e anche l’indirizzo preciso dell’albergo di Tamanrasset.
Finalmente l’imbarco con altri tre controlli dei documenti.

Quando sono atterrato a Malpensa avrei voluto baciare la terra, ma mi è sembrato un po’ plateale e mi sono astenuto.

Però, mi sono preso una soddisfazione senza prezzo: migliaia di cittadini non europei erano in fila in quel momento per passare il controllo passaporti: io ho superato tranquillamente la fila, mi sono diretto al piccolo spazio SmartDocument che non funziona neanche a Vancouver e a New York e che qui funziona alla grande, e in meno di 20 secondi sono uscito. Quelli che erano in coda diverse ore fa, credo che siano ancora lì.

Morale?
Non ci sono morali, tranne due considerazioni.
Se soffrite di cuore e non avete il pelo sullo stomaco, non ci andate.
Ma in caso contrario non vi fate mancare questa full immersion in un angolo meraviglioso del mondo, con tantissima storia di cui avere rispetto ed ammirazione.



















Il prossimo Convegno Annuale di Astrologia Attiva, ancora aperto al pubblico, si terrà al Grand Hotel Due Golfi, di Sant’Agata sui Due Golfi, vicino Sorrento, nel weekend 21-23 Giugno. Per le prenotazioni e altre notizie potete rivolgervi direttamente all’Hotel.







Vi ricordo che le sessioni del convegno sono rimaste le stesse da molti anni a questa parte:

venerdì: 15-19
sabato: 9-12 e 14-19
domenica: 9-12

Ingresso libero e gratuito. Come sempre parleremo di ciò che vorremo discutere, anche scegliendo più argomenti al momento. Come sanno i “ripetenti”, i nostri convegni si svolgono più secondo la formula della “tavola rotonda” che di un congresso formale. Tutti possono parlare, volendo, ma a braccio.


I menu delle due serate del convegno, per coloro che desiderano stare con noi e cenare assieme.


Cena di venerdì 21 giugno, ore 20, presso il ristorante di Mimmo (Lo stuzzichino)

Menù normale  euro 30,00 a persona, esclusa la mancia
Antipasto : Fiorilli di zucchine o parmigiana di melanzane

Primo piatto : pasta e patate con provolone del monaco o ravioli al profumo di limone massese con vongole veraci
Secondo piatto : calamaretti spillo con olive , capperi e pomodorino o involtini di pesce bandiera
Dolce : a scelta

Acqua minerale e vino della casa


Menù dietetico euro 30,00

verdurine di stagione miste
filetto di spigola  con insalata
dolce o frutta a scelta
acqua minerale naturale  e vino della casa


Cena di sabato sera 22 giugno, ore 20, nella sala panoramica (quella dove facciamo colazione) del Grand Hotel Due Golfi.


Euro 40,00 a testa, mancia esclusa, comprensivo di antipasto, primo piatto, secondo piatto, dolce e vino. 
Si prega prenotarsi con anticipo inviando una mail con oggetto cena Convegno Discepolo a:mariorusso@grandhotelduegolfi.com

Menù:
Antipasti (uno tra questi)
Tentacoli di polpo arrostito su crema di zucchine con salsa alla pizzaiola e ceci croccanti
Tartare di salmone su mousse di patate allo scalogno, insalatina di erbette e salsa ai cinque fiori
Piatto fantasia bufala campana, prosciutto San Daniele e  bruschetta ai due pomodorini


Primi (uno tra questi)
Mezzi paccheri di Gragnano con vongole veraci, noci di Sorrento e basilico
Spaghetti di grano duro ai sapori del cantone
Scialatiello dell’autore con melanzane e provola di Agerola


Secondi (uno tra questi)
Turbante di branzino e gamberone  su brunoise di verdure
Orata del golfo in panatura di agrumi 
Tagliata di Angus al coriandolo su ruchetta, pomodorini e scaglie di parmigiano, dressing all’aceto di Modena


Dessert

Delizia al limone di Sorrento
Crostatine di frutta fresca
Babà crema e amarena
vino Falanghina o Aglianico   



Coloro che desiderassero cenare con altre pietanze, sono pregati di sedersi a tavoli separati e di ordinare alla carta. Questo vale sia per la cena allo Stuzzichino che per quella al Grand Hotel Due Golfi. Grazie.








Per Tutti. Non è una notizia importante, ma vi invito a leggerla perché potrà spiegare, a qualcuno, il perché di un certo rumore di fondo che disturba, da qualche anno, l’Astrologia:


For Everybody. It is not an important news, but I invite you to read it because it can explain, to someone, the why of a certain noise leading that disturbs, from a few years, the astrology:


Buona Giornata a Tutti.




Tutto il materiale contenuto in questo blog, testi, grafici e foto, rigo per rigo, è coperto da Copyright. È vietata ogni riproduzione parziale o totale senza previa autorizzazione dell’owner.


Per vedere bene i grafici zodiacali e le foto, occorre cliccarci sopra: si ingrandiranno.To see well a graph, click on it and it will enlarge itself. Passando il puntatore del mouse su di un grafico, leggerete, in basso a destra dello schermo, il nome della località consigliata. Se ciò non dovesse avvenire, vi consiglio di usare come browser Chrome di Google che è gratuito e, a mio avviso, il migliore.Where it will be my birthday?
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lunedì 10 giugno 2019

Speaking of drones

Parlando di droni



Ieri sera ho visto due episodi e mezzo della serie Netflix “When They See Us” e fortunatamente non ho trovato lamette da barba in casa altrimenti le avrei usate… Poi mi sono imbattuto nella visione (per la decima volta?) del sempre delizioso Hollywood Party e così mi sono ripreso…
Ma veniamo all’argomento di cui desidero condividere con voi alcune riflessioni.
Amazon, dicono le notizie dei quotidiani, si appresta a usare massivamente i droni per la consegna di piccoli pacchi, anche mezz’ora dopo l’ordine.
Questo tipo di notizie mi entusiasma perché, personalmente, sono per il progresso della scienza, della tecnologia, dei servizi e anche per le società in cui sia possibile vivere 24 ore al giorno, senza tempi morti: la nostra vita scorre tutta quanta via in un soffio e io non desidero perderne neanche una frazione piccolissima.

Ma torniamo ai droni. La notizia che vi ho appena riferito, a mio avviso deve essere necessariamente fake.

Vediamo.
Una decina di anni fa, quando il fenomeno droni, per usi non militari, prometteva di dilagare, anche io guardavo alla cosa con grande entusiasmo e con un desiderio immenso di calarmi in questa nuova e meravigliosa avventura.
Se solo immaginavo, per esempio, di sorvolare, venendo dal mare e diretto alla costa, i luoghi meravigliosi della Gaiola, a Marechiaro (Napoli), tanto per fare un esempio, o alcuni tratti della Costiera sorrentino-amalfitana, da una prospettiva assolutamente nuova, per esempio da una cinquantina di metri d’altezza e con un angolo di 40-45 gradi verso il basso, dal lato del mare verso la terra, beh, confesso che già mi immaginavo degli scatti mozzafiato!
Subito cercai “droni Sony” (e cosa sennò?) e qui ebbi la prima sorpresa: la grande multinazionale nipponica era, come pensavo, assai avanti con la produzione di droni professionali, ma non intendeva commercializzarli vendendoli ai singoli privati, bensì si offriva, a mezzo di proprie società, di lavorare per conto terzi. Come dire: io mi rivolgo alla società Pinco Pallino e le richiedo delle foto dall’alto di piazza del Duomo, sfiorando la Madonnina e in mezzo alle guglie di questa meravigliosa opera d’arte, non senza però, prima essermi raccomandato: “Gentilmente, però, fatemi delle buone foto!”.

Voi pensate che per un appassionato di fotografia possa andare bene ricevere foto scattate da altri, seppure bravissimi fotografi?
No, assolutamente.
Allora ho lasciato che passassero diversi anni per capire come si sarebbe potuto evolvere il mercato, ma niente.
A questo punto, una mattina che mi trovavo a City Life, a Milano, perché diretto alla sede Huawei, entrai a curiosare in un grandissimo negozio che è proprio lì e che vende esclusivamente droni di una marca assai prestigiosa e costosa.
Chiesi notizie e l’addetto mi spiegò che, per quello che desideravo fare io, mi occorreva un tipo professionale di drone dove avrei potuto fissare una delle mie fotocamere Sony (non poco pesanti) e comandare le stesse a distanza, anche a mezzo dello smartphone. Mi specificò che occorrevano anche dei permessi, ma minimizzò la cosa.

In seguito ebbi modo di parlare con un fotoamatore che aveva seguito tale prassi e che mi mise al corrente di come stavano realmente le cose.
Per poter pilotare un drone capace di trasportare alcuni chili di fotocamere o altro, occorre, oltre a una spesa non indifferente per acquistare il “giocattolo”, sostenere un corso di volo e conseguire un brevetto di pilota che, come confermatomi da più persone, è più difficile del brevetto utile a pilotare aerei veri standoci dentro.
Qualcuno potrebbe dire: “Già, ma se poi godrai tanto…”.

Purtroppo non è così e cominciamo a precisare che tutte le aeree urbane sono assolutamente interdette al volo dei droni. Mettiamo che io mi trovi in quella zona bellissima di Milano, di fianco a piazza Gae Aulenti dove ci sono anche i grattacieli del bosco verticale e la “Biblioteca degli alberi”, una zona tutta verde realizzata dai privati e messa a disposizione dei cittadini gratuitamente.
Una sola volta ho visto una foto ripresa dall’alto della stessa e pubblicata dal Corriere della Sera: qualcuno che si era affacciato dalla sommità di uno di quei grattacieli (privati) e aveva realizzato lo scatto.

Chiesi: “E se io volessi chiedere un permesso per utilizzare un drone solo per detta operazione?”.
“Devi fare domanda innanzitutto all’Enac (ente nazionale del volo che gestisce tutto il traffico aereo civile quotidiano, qui in Italia), poi una seconda domanda al Comune e specificare che, mettiamo fra tre mesi (prima non è possibile ottenere i dovuti permessi) tu vorresti recarti in questa grandissima area verde e senza costruzioni, far salire, mettiamo, di 30-50 metri il tuo drone, in linea assolutamente verticale da terra, farlo restare per pochissimi secondi “sospeso” in alto, quindi scattare delle foto e farlo ridiscendere.
In questo caso la cosa è teoricamente possibile, sempre se hai il brevetto di pilota. Ma già tutto questo progetto va a farsi benedire se quel giorno piove e il permesso viene revocato.
In pratica, da come mi è stato spiegato, sempre dopo avere speso molte migliaia di euro tra brevetto di pilotaggio e acquisto di un drone professionale, poi, puoi recarti in apertissima campagna, dove non esistano abitazioni, pali della luce, campanili, chiese o edifici pubblici, e farti un giretto di pochi minuti a fotografare il nulla assoluto

A fronte di ciò le cronache dei giornali ci segnalano sempre più spesso di aeroporti, soprattutto Fiumicino, Malpensa, Londra... dove il traffico aereo è stato sospeso per ore per la presenza di un drone non autorizzato.
Fin qui le notizie di una settimana fa.
Ora, invece, le prime pagine dei giornali ci annunciano l’arrivo di eserciti di droni che ci consegneranno pacchetti, mettiamo, nel bel mezzo di Piazza di Spagna a Roma o di Piazza del Plebiscito a Napoli: vi sembra una cosa possibile?





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sabato: 9-12 e 14-19
domenica: 9-12

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Menù:
Antipasti (uno tra questi)
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Tartare di salmone su mousse di patate allo scalogno, insalatina di erbette e salsa ai cinque fiori
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Tagliata di Angus al coriandolo su ruchetta, pomodorini e scaglie di parmigiano, dressing all’aceto di Modena


Dessert

Delizia al limone di Sorrento
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Babà crema e amarena
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