martedì 25 dicembre 2007

Un compleanno che si potrebbe chiamare Natale


Maria Tiziana Lemme è una brava collega de Il Mattino, a mio avviso ingiustamente penalizzata in un giudizio di separazione nel quale, in un primo tempo, si è vista “portare via” la sua bimba di pochi anni. Ho sofferto con lei (perché la leggevo come una ingiustizia terribile) questa triste vicenda. Maria Tiziana non voleva partire per il compleanno mirato, prima perché era scettica e poi perché vi erano difficoltà oggettive enormi (trovarsi in un punto del deserto egiziano lontano da qualsiasi città; andare lì nei giorni di festività nazionali in cui il transito è interdetto agli stranieri; trovare chi fosse disposto ad accompagnarla…). Non desidero aggiungere altro. Leggete la magia di questo compleanno, promessa, nei simboli, di ciò che sarebbe accaduto pochi giorni dopo: Maria Tiziana ha riabbracciato la sua bimba e hanno dormito tutta la notte strette l’una all’altra, come ad evitare di perdersi nuovamente…
Ciro Discepolo
www.solarreturns.com
www.cirodiscepolo.it

Caro Ciro,

l’angoscia che avverto dalle tue parole (era deceduta da poco mia sorella Rosanna) inibisce l’entusiasmo del mio racconto del compleanno portato a termine.

In sintesi ti dico: tutto bene. Ma ora che scrivo, credo che forse ti darà soddisfazione conoscere qualche dettaglio. Io spero ti possa rincuorare.

Ristabilendo vicinanza dopo i saluti cordiali, graditissimi, che da te

ricevo.

Venerdì sera: ancora nel dubbio della partenza, ero in giro con l’automobile per servizi, la radio accesa. Dico in me: se adesso dalla radio esce la parola Egitto, partirò, altrimenti no. Non passa un minuto che... “L’ultimo accordo firmato tra l’Italia e l’Egitto riguarda...”. Continuo a guidare speranzosa, e scettica.

Sabato mattina, vado di buon’ora all’aeroporto, mica sicura di partire.

Ebbene, non solo riesco a farlo, ma anche a un prezzo ben inferiore a quello (già conveniente per le mie esigenze) che mi avevano prospettato e che potevo affrontare.

Sull’aereo: davanti a me sento la voce di un viaggiatore che, prima della partenza, telefona a qualcuno. Dalle sue parole capisco che vive, o comunque “è di stanza” al Cairo. Lascio passare del tempo poi l’avvicino, gli dico cosa devo fare (condendo il tutto con un reportage che devo scrivere su un tale esperimento) e se conosce qualcuno fidato che può accompagnarmi. Caccio cartine e coordinate: è un geologo che vive anche al Cairo, e s’entusiasma.

Vorrebbe accompagnarmi lui, l’idea di ricercare un luogo lo entusiasma, glielo leggo, ma è tornato apposta da Londra per un incontro l’indomani con una società egiziana petrolifera, già rimandato... Arrivati all’aeroporto del Cairo mi “accompagna per mano” fino a quando non entro in una macchina per arrivare in albergo. Sono frastornata.

Il tempo di arrivare, entrare nella camera, ricevere la telefonata del

geologo che vuole assicurarsi del mio arrivo, e sono già a parlare con colui che dovrebbe procurarmi auto e autista. Ha un viso che mi ispira fiducia, “da bravo ragazzo”: ovviamente si entusiasma (anche lui, ed è la terza volta che uso questo verbo in poche righe) all’idea, lui abituato a portare turisti alle Piramidi, nei soliti giri, insomma. Con una contrattazione chiedo e ottengo che sia lui ad accompagnarmi: parla bene l’inglese, l’avevo visto in faccia, e gli dico chiaramente che volevo essere, in questa avventura, assolutamente tranquilla, essendo sola e di sesso femminile.

Lui, Ahmed si chiama, comprende.

Scelgo di cenare, tra i cinque del ristorante, in uno. Ah: il Nilo era di

fronte a me, proprio. Appena oltre la strada da attraversare (sembrava, per il traffico, via Caracciolo). Mi segue nella scelta un cameriere al quale ero stata ‘raccomandata’ dal tipo delle automobili. Mi vengono le lacrime agli occhi, seduta al tavolo. Tutti gentili, complimentosi. Io pensavo a mia figlia, a come avrei voluto farle vedere tutto.

Finisco di cenare, col tipo dell’automobile facciamo ricerche in Internet: gli do conferma del punto ove andare. Ebbene, il cameriere che mi aveva seguita era proprio di quelle parti!!! Di Minya. Ci abbozza una cartina più dettagliata. È zona desertica, con bivi, strade a stento segnalate, conosciute da chi le abita.

Domenica, 23, partiamo presto. Attraversiamo il deserto su una superstrada che mi donerà il silenzio e colori netti, il cielo mi sembrava il mare che si aspetta oltre la sabbia. Attraversiamo in 280 km cinque posti di blocco militari, giriamo, voltiamo, chiediamo (chiede) alle persone direzione, attraversiamo strade sterrate, e gente ai bordi delle strade, miseri mercati con due arance in vendita e nonostante tutto tanta vita: bambini, uomini e donne sui muli, o chini nel lavoro ai campi, nonostante fosse domenica, e l’ultima giornata della “festa del sacrificio”.

Alle 10,40 arriviamo nel luogo calcolato sì empiricamente (senza palmare): si chiama Abo Sidhom Samalut, governariato di Minya, sulle sponde del fiume Elyoussfi. Ahmed ferma la macchina davanti all’unica chiesa cristiano-ortodossa nel giro di centinaia di chilometri (la moschea attaccata). Era appena terminata la messa, i cristiani del villaggio, poverissimo, neanche l’acqua nelle case, erano lì. Scendo dalla macchina. Mi guardo intorno, mi sento nello stesso tempo nel luogo e fuori luogo. Non porto orologio, ma sono certa che alle 10,58 è passato davanti a me quel camioncino che, passandomi davanti, ha acceso in quel momento un “amplificatore” (probabilmente un rudimentale megafono) che prima di far uscire dal microfono la voce del venditore ha lanciato sìbili e gracchìi.

Forse, anzi per me è certo, era il segno che cercavo.

Che cosa fare? Entriamo nella chiesa, nel suo atrio, a destra la cappella, ci sono le donne sugli scranni e una, a testa scoperta, sul pulpito. Entro dentro un attimo, esco per vergogna e per rispetto: distraevo. Cosa fare? Al fiume altre donne lavavano i panni. Chiedo il permesso di fare fotografie.

Si viene a sapere che sono giornalista, dico io a Ahmed di dirlo, di rassicurarli: non sono una spia dei fondamentalisti. Comincio a chiedere informazioni: il nome del villaggio, il numero degli abitanti... tutti si aspettano qualcosa e soprattutto il prete-pope, che da lontano guarda, tutto vestito di nero ma con una faccia aperta. Faccio una breve e buona intervista -inglese tradotto in arabo a sua volta tradotto in inglese-anche perché sempre di più mi viene voglia di raccontare di questo luogo, dove la gente vive per poter mangiare e basta, sconosciuto: di saperne di più. Sapevo che a Minya c’è la sede di una Associazione, Save the Children, - quando ho acquistato la cartina dell’Egitto, alla Feltrinelli International a Roma, davanti all’ingresso c’erano due ragazzi che, in rappresentanza di questa istituzione rilasciavano volantini, e non mi curai affatto di loro - gemellata con Roma.

Poi accade qualcosa. Uscita dalla ‘sacrestia’ vengo letteralmente circondata da tutti -tutti- i bambini. Si stringono attorno a me in cerchio, io non ho lo spazio di un passo. Qualcuno, ricordando gli insegnamenti della scuola e volendoli applicare mi chiede What’s your name? E io rispondo. Non mi lasciano camminare: sono la novità. Un altro: What’s your name? E io rispondo, e gioco con loro, rido, ridiamo insieme e li guardo negli occhi e gli occhi mi traballano, e poi accade che il mio nome viene pronunciato, ridetto, a voce bassa, a voce alta, Maria, Maria, e io mi sento una merda per un attimo perché fuori e dentro un luogo, poi mi sento nel mio luogo, sento il potere addosso, e con un gesto dico a questa folla di innocenti andiamo di là, dove c’era lo spiazzo per i giochi, l’altalena lo scivolo.

Volevo disperderli, distrarli, allontanarli dall’immagine che avevano di me, unica e sola forestiera capitata lì. Ma le altalene avevano catene e catenacci, e non potevano usarle, e lo scivolo... non ci pensava affatto a usarlo. Mi prendevano le mani, le bambine, e il mio nome risuonava dalle loro bocche sorridenti che mi dicevano I love you, e poi, quando tutto stava per finire ecco che un bambino lo dice per intero, il mio nome, mi inorgoglisce, mi sento felice, e atterrata perché il suo io riesco a stento a dirlo. Infine rientro (rientriamo) in auto per tornare. I bimbi lanciano baci e saluti con la mano fino a che la macchina non si è allontanata.

Ora mi fermo, e ti aspetto (1).

Ti abbraccio

Maria Tiziana

1 Io e l’Autrice siamo stati d’accordo a stampare la versione di getto dell’email inviatami subito dopo questo compleanno davvero straordinario.

7 commenti:

b-right ha detto...

un viaggio pieno d'amore,
certamente.

per chi si domandasse
cosa ci facevo a Grenoble,
confesso tutto in questo
mio post:

http://b-rightful.ilcannocchiale.it/

b-right ha detto...

ops, volevo dire questo:

http://b-rightful.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1498238

b-right ha detto...

perla di Natale:

"Were all religions and all scriptures of the world to be lost, and were there nothing left to us except the starry heavens, the story of the zodiac and the significance of the names of the various stars found in the different constellations, we should be able to retrace the history of man, recover the knowledge of our goal and learn the mode of its achievement". (Djwhal Khul The Tibetan).


tratto dal sito di Anne W-right:

http://users.winshop.com.au/annew/Introd.html

Sabri ha detto...

Una testimonianza davvero toccante e sono felice di poterla leggere proprio in tempo di Natale, quando ogni bimbo dovrebbe essere coccolato dalla propria madre ed i pensieri d'angoscia essere spazzati via da nuova speranza.

Un abbraccio a Maria Tiziana con tanti auguri di sempre piu' fortuna per lei e la sua bimba.
Sabrina

Sabri ha detto...

Caro Ciro, ti ringrazio per aver condiviso con noi l'esperienza di Maria Tiziana (grazie anche a lei ovviamente!!!), perche' oltre al bellissimo messaggio di speranza che ci hai donato, mi hai anche dato lo spunto per un regalo-donazione mediante l'associazione "Save the Children".

Rinnovo i miei auguri,
Sabrina.

Anonimo ha detto...

Un saluto affettuoso a Maria Tiziana e alla sua bimba, perchè non c'è niente di piu' importante
per un bambino del sapere che qualcuno ti ama ed è disposto a qualunque cosa per te.

Ciro Discepolo ha detto...

Sì, io credo che la storia di Maria Tiziana e della sua bimba sia una delle più belle che ho ricevuto in dono da un compleanno mirato suggerito a qualcuno. Per tale motivo ho voluto “regalarvela” il giorno di Natale. Siccome la mia amica e collega risultava erroneamente distaccata alla redazione romana de Il Mattino, vi erano pochissime speranze che il giudice tornasse sulla sua sentenza e invece, come le era stato annunciato da quei bambini che la tenevano per mano e le dicevano "Maria, I love you", la sua bimba è tornata a casa.
Nel mio piccolo, ogni anno, faccio una donazione all'UNICEF, ma credo che vada bene qualunque associazione ci dia un minimo di garanzia che, nonostante le enormi spese che devono sostenere tali organizzazioni, almeno una parte del denaro andrà davvero ai bambini di tutto il mondo e questo un poco mi consola.