Pensavo di averlo perso. Poi l'ho ritrovato quasi per caso. Con questo racconto vinsi il II Premio al Concorso Letterario Nazionale Spaccanapoli, molti anni fa.
| Era   venuto lì con un’idea: farla finita. La vita, oramai, da quando aveva   abbandonato il lavoro e da quando non c’era più Tina era diventata   tristissima, insopportabile. Quest’anno poi era sopraggiunta anche la sua   malattia e tutte le luci si erano spente. Erano stati Anna ed Enrico che   avevano insistito perché lui andasse lì, in quel villaggio del Touring, in   terra cilentana, affacciato sul mare, tra Capo Palinuro e Marina di   Camerota. Lui aveva detto sì senza convinzione, pensando ormai che per quello   che aveva deciso di fare un posto valeva l’altro. Era sceso contando i   gradini che dagli alloggi portano alla spiaggia, chiuso nei suoi pensieri:   erano 98, a meno che non si considerassero anche due piccole escrescenze   rocciose che non erano gradini in senso stretto. Arrivò in riva al mare   assorto nei suoi pensieri e non fece caso alle sei file di ombrelloni e sedie   a sdraio, colore verde marino, ben allineate a 50 passi dal mare. L’automatismo   con cui procedeva non gli faceva neanche distinguere il variopinto   campionario di gente che si presentava ai suoi occhi: per lo più “visi   pallidi” appena sbarcati dal pullman di Milano;  | 
| altri della vecchia settimana già splendidamente dorati dal   sole; qualche bambino freneticamente occupato a scavare buche nella sabbia e   alcune adolescenti che con un pizzico di trasgressione mostravano il seno   piccolo e puntuto agli sguardi indulgenti dei vicini di ombrellone. Passò   sulle tavole di legno che scendevano a picco verso il mare costeggiando a   sinistra le file di ombrelloni e si diresse verso un angolo appartato della   spiaggia, in fondo a destra, verso il roccione che delimita la lingua di   sabbia e di mare rispetto alla spiaggia dell’insenatura seguente. Stese   l’asciugamano di spugna bordeaux a strisce gialle oblique e si sedette col   viso rivolto al sole che declinava velocemente verso l’ovest che lì era   pressappoco in direzione di Palinuro. L’astro, colore arancio chiaro in quel   momento, tramontava dopo una giornata di caldo agostano solo a tratti   spazzata da un leggero vento di tramontana che aveva reso le ore precedenti   più vivibili. Udiva l’urto dell’onda sulla spiaggia; quel mare ora verde e   ora azzurro, immenso ed impetuoso, quel giorno, sembrava evocare le tempeste   del suo animo. Gli tornarono in mente le parole di Victor Hugo ne I   miserabili: “V’è uno spettacolo più grande del mare, ed è il cielo; v’è   uno spettacolo più grande del cielo , ed è l’interno dell’anima”. La sua, in   quel momento, rappresentava un coacervo eterogeneo di sentimenti negativi,   un misto di rabbia, delusione, disgusto che gli mostravano la vita come   attraverso due lenti scure Polaroid, polarizzate per respingere la luce.   Volgendo lo sguardo al passato vedeva le sue sessantasette primavere con qualche   amarezza ma immerse in mille dolci ricordi; poi gli ultimi mesi segnati dalla   mano crudele del destino che si era preso tutto e che lo lasciava adesso solo   con la sua disperazione. Si stava al | 
| zando la marea e l’acqua si avvicinava sempre più ai suoi   piedi, bagnando quella striscia ciottolosa di riva che fino a pochi minuti   prima era rimasta asciutta. Stava spostandosi quando udì una voce femminile,   chiara e gentile, che disse:  | 
| “Permette che riprenda il mio giornale?”.  | 
| “Prego, mi scusi, non vi avevo fatto caso”.  | 
| Glielo restituì meccanicamente e alzò   il viso proprio mentre lei si spostava leggermente, stando con le spalle al   sole, e scoprendo la sfera ignea dell’astro che andò ad illuminare in pieno   viso il vecchio. Questi ne fu accecato e per qualche secondo non riuscì a   vedere nient’altro che un profilo scuro poi, abituando le pupille alla luce,   riconobbe i tratti di una donna di media statura, più o meno della sua   stessa età, magra, con un costume azzurro in lycra, tutt’un pezzo e scollato   davanti e più profondamente di dietro. La pelle assai abbronzata non formava   rughe vistose e solo sulla fronte qualche solco orizzontale denunciava l’età   insieme al grigio dei capelli assai tirati sulle tempie e raccolti indietro   da un grosso fermaglio colore cammello scuro. Provò un’istintiva simpatia   per questa donna che vedeva per la prima volta e a cui non badò più un   istante dopo. Si mise quindi a seguire le manovre di un surf dalla   vela bianca e azzurra che tagliava l’acqua velocemente e parallelamente alla   riva, ad una trentina di metri da quest’ultima. I movimenti sicuri e rapidi   del pilota ricordavano le coreografie di una danza sudamericana e il gioco di   luce, nei riflessi della vela bagnata, completava quell’insieme scenico assai   bello da vedere. Seguì con gli occhi le evoluzioni di quel giovane fino a   che la tavola a vela non  | 
| divenne poco più di un punto in lontananza. Allora, fissando   l’orizzonte gli tornarono i pensieri malinconici di prima, quelli che lo accompagnavano   sempre da qualche mese a quella parte. Si diceva che stava nel posto   sbagliato: in mezzo alla vita, a tanta gente che si divertiva e voleva vivere   e lui, invece, desiderava solamente morire. Raccolse le sue cose che sistemò   nella borsa di plastica grigia e, chiusa la cerniera lampo, si passò le   maniglie dietro la spalla destra, poggiando il dorso della mano sulla   clavicola. Salì le scale lentamente, fermandosi ogni pochi gradini, per   riprendere fiato e far passare chi saliva o scendeva più in fretta di lui.   Arrivò alle docce e si lasciò investire da un getto tiepido di acqua, quasi   fresco, che gli fece provare un gran refrigerio dopo l’arsura di quel giorno   trascorso in parte a guidare sull’asfalto infuocato. Più tardi, asciugato e   rivestito, si mise automaticamente in fila al ristorante per la cena e,   girandosi, si accorse che a fianco a lui c’era la donna della spiaggia che lo   salutò con un sorriso cordiale e sincero che, in tutta evidenza, non voleva   guadagnarsi nulla. Egli le rispose con un cenno timido del capo e un po’   rudemente com’era solito fare quando qualcuno gli si rivolgeva   inaspettatamente. La sua scorza lo mostrava un po’ come un orso a chi non lo   conosceva profondamente, ma dentro egli era assai sensibile ed   influenzabile. Tanti buoni cibi erano contenuti in recipienti riscaldati in   fila davanti a lui che, passando col vassoio, doveva indicare quelli di suo   gradimento. Una volta teneva molto al mangiare e avrebbe goduto assai di   quella buona cena dopo una giornata di digiuno. Scelse delle pennette alla   calabrese di cui si avvertiva l’odore del peperoncino mischiato al sugo di   pomodoro e agli aromi e della noce di vitello con fagiolini al burro.  | 
| Pensò che per quel giorno poteva anche   non badare al colesterolo. Mentre, sollevato il vassoio con i piatti e con   la brocca del vino, cercava un posto nelle sale ristorante, la donna che gli   stava a fianco gli disse: “Ci sono due posti, lì al terzo tavolo”. Vi si   diresse senza rispondere e prese posto di fronte a lei. “Mi chiamo Stefano”,   le disse sedendosi. “Ed io Piera”, le rispose la donna uniformandosi alla   moda dei villaggi dove i cognomi sono banditi e se non c’è il tu c’è almeno   la confidenza di chiamarsi e di conoscersi solamente per nome.  | 
| “Sono qui da venerdì scorso, ma a lei l’ho vista solamente   oggi”.  | 
| “Infatti sono arrivato questo pomeriggio, ma non ci star... mi   fermerò solo pochi giorni”.  | 
| “È il primo anno che vengo in un villaggio continuò la donna   con un sorriso - sa, sono vedova da poco e i figli sono grandi ormai”.  | 
| “Già”, disse lui e pensò a quella   serenità che contrastava con la sua condizione, così simile alla propria, sul   piano esistenziale. Mangiarono scambiandosi qualche parola, ma fu più lei a   parlargli. Gli raccontò un po’ della sua vita, dei dolori passati, della sua   grande passione per la lettura, della sua fede... “Forse è per questo che   riesce a sorridere, nonostante tutto; - pensò il vecchio - io non ho neanche   quella a sorreggermi, ho solamente un gran vuoto dentro”. Ripercorse mentalmente   gli ultimi anni della sua vita, da quando era diventato “vecchio”, a   quarant’anni: la carne che mangiava gli si incastrava negli spazi   interstiziali fra i denti e quando chiese al suo dentista quanto sarebbe   durato quel fastidio, quello gli rispose  | 
| “Per sempre”. Era diventato vecchio. Ma, nonostante ciò,   aveva vissuto lo stesso con tanta grinta, fino a quell’anno, quando il   destino gli aveva tolto Tina, il lavoro, tutto. Quelli di Milano parlavano di   tetto da raggiungere, di piano quinquennale da rispettare, di   trend di vendite. Lui non se l’era più sentita, s’era fatto da parte,   non ce la faceva più a combattere per “distruggere la concorrenza”: se lui   avesse riso ci sarebbe stato un altro a piangere. Questa logica gli sembrava   quella della giungla, della belva più grossa che divora la più piccola. La   concorrenza, come s’intendeva oggi, non era altro che l’antico motto “mors   tua vita mea”. E lui, a quel prezzo non voleva più rimanere in pista. La   lotta per la sopravvivenza poteva avere un significato in chi è costretto a   cacciare per vivere o a pescare, come il vecchio Santiago che lotta per   giorni, disperatamente, contro il grossissimo pesce nel più bel romanzo di   Hemingway. Ma oggi, nel 1987, nelle metropoli industriali dove la giacca e la   cravatta dovrebbero rappresentare la civiltà, la fine dell’oppressione, del   bisogno, la tregua nella lotta... No, ormai la decisione era presa, avrebbe   abbandonato presto questa valle di lacrime. Mentre pensava questo i suoi   occhi furono nuovamente illuminati dal sorriso di Piera che gli stava   chiedendo di andare ad assistere assieme allo spettacolo dell’animazione. Si   sedettero in quarta fila, dove trovarono posto in mezzo ad altri soci, più   indietro dell’area presidiata dai bambini che scorrazzavano per la pista. Le   due grosse casse acustiche da 80 watt ciascuna diffondevano musica per i   piccoli mentre quelli dello staff preparavano la scena per lo spettacolo che   sarebbe cominciato alle ventuno e trenta. La pista pavimentata con   mattonelle rettangolari di cotto arancione si stendeva su di una superficie   di circa  | 
| 40 metri per quindici, tra grossi olivi secolari che di giorno   stendevano tutt’intorno una fresca ombra dove si rifugiava chi amava meno il   sole e il mare. Alle spalle della pista c’erano le terrazze di terra che   digradavano fino al mare, settanta metri più sotto. Davanti e ai lati, su   cinque file di sedie, prendevano posto i circa quattrocento ospiti del   villaggio, in quel momento occupati in parte a portare l’acqua minerale nei   capanni o a telefonare alle due cabine dietro il bar. Su tutto un cielo   stellato visibile, in quel momento, perché le luci della pista erano spente e   la luna era al suo primo quarto, bassa sull’orizzonte occidentale. Piera   aveva indossato una gonna di gabardina leggera, nera, e una camicetta di seta   rossa, con i bottoni bianchi davanti. Un laccetto d’oro con un ciondolo   d’avorio le pendeva all’altezza della scollatura che mostrava la pelle   ancora liscia ed abbronzata. Al braccio sinistro, scoperto come quello   destro fino al gomito, era un orologetto d’oro col cinturino di pelle chiara.   Un profumo forte ma non aggressivo l’avvolgeva completando quel-l’insieme   assai gradevole che, per la prima volta, Stefano guardò come una donna. Non   voleva riconoscerlo ma lei gli piaceva, gli faceva riprovare delle   sensazioni antiche, lo scoteva dal suo torpore pessimista e minacciava di   fargli fare dei progetti. “Alla mia età - pensò lui - sarei ridicolo!”.   Però, chissà per quale combinazione del pensiero tornò a rivedere, nella sua   mente, la scena del-l’amore senile, tra quei due vecchi del film La notte   di San Lorenzo, dei fratelli Taviani. Era stata bellissima, piena di   tenerezza e aveva dimostrato come due esseri possono amarsi anche in un’età   non più verde, senza suscitare alcuna ilarità, ma anzi - commozione. A   interrompere quel pensiero furono le musiche di Nino Rota del film “Otto e  | 
| mezzo” di Fellini, sigla di apertura delle serate di   animazione al villaggio. Il faro illuminò il centro della pista e fece la sua   comparsa un giovane poco più che trentenne vestito con una camicia di seta   azzurra elegante e dei pantaloni neri lucidi. Disse qualche parola di   benvenuto ai nuovi ospiti e passò a cantare, dal vivo, alcune canzoni molto   popolari degli anni Sessanta e Settanta. La voce era alquanto bella e non   faticò a strappare molti applausi, soprattutto da parte dei vecchi ospiti che   lo incitavano chiamandolo per nome: “Dai, Renato! Ancora!”. E lui non si fece   pregare, accontentando anche qualche richiesta del pubblico, dopo aver   consultato la ragazza alla regia per sapere se avevano la base sonora per   quel pezzo e per quell’altro. Quando attaccò le prime note di “Volare” ci fu   un grosso applauso e in molti fecero il coro battendo anche le mani a ritmo   cadenzato. Poi fu annunciata la gara di ballo e, mentre i vecchi ospiti   nascondevano la testa dietro le spalle dei nuovi, alcuni vennero invitati a   scendere in pista e ad indossare un numero dietro la maglietta  | 
| o la camicia. Fu così che anche lui si   trovò tra loro, trascinato da Piera che non sembrava imbarazzata dai   riflettori, dagli sguardi, dalle probabili gaffes che avrebbero   prodotto insieme. “Non so se sono in grado, sono passati tanti anni...”,   disse Stefano tentando di schivare l’offerta, ma lei lo tirò delicatamente   per un braccio e con un sorriso cancellò le preoccupazioni dal suo viso   :”Vedrà, qui sono molto indulgenti”. Il numero che contrassegnava la coppia   lo portava l’uomo e a loro capitò il nove. Renato, l’animatore, spiegò che   avrebbero potuto astenersi dal ballare un pezzo, mentre avrebbero dovuto   giocare un jolly al ballo nel quale si sentivano più forti e che gli avrebbe   reso un punteggio doppio. La giuria, composta tutta da ospiti, sede | 
| va nelle prime posizioni davanti alla pista. Si diede il via e   le prime note di un valzer echeggiarono in quello spiazzo in mezzo agli   alberi, illuminato da molte luci, con un volume piuttosto alto, tra un   pubblico attento e non ancora incline all’ammirazione o all’ironia. Qualche   coppia, soprattutto la cinque e la sei, se la cavava benissimo e seguiva   elegantemente le note del disco compiendo molte evoluzioni ed offrendo al   pubblico continuamente un proprio lato diverso da osservare. C’era anche   qualche imbranato che inciampava e si ostacolava con la dama, rompendo   l’armonia della musica e suscitando qualche ilarità tra il pubblico, subito   tacitata dai commenti indulgenti e incoraggianti dell’animatore: “È un gioco,   siamo qui per divertirci...”. Stefano, mediocre cavaliere, faceva del suo   meglio per non attrarre l’attenzione su di sé e, un po’ stordito da quei   giri veloci cui non era più abituato, fu confortato dalla fine del brano   musicale. Erano ancora vicini, l’uno a fianco all’altra, e si sentiva il   profumo di lei che mischiava gli effluvi dell’acqua di colonia a quelli del   bagnoschiuma della doccia e a quello più intenso della pelle. A Stefano   piacque ma pensò anche che non se la sentiva di continuare quello sforzo, lì   al centro dell’attenzione, mentre cominciava a sudare e con lo spirito non   adatto a quelle goliardie che non lo entusiasmavano più. Le chiese di andar   via e, ancora una volta, fu sorpreso dalla schietta disponibilità di lei. Sgusciarono   via al momento giusto e si diressero verso il mare, come se se lo fossero   detto prima, ma senza aver pronunciato neanche una parola. Scendevano le   scale già da un po’ quando si accorsero entrambi che erano silenziosi, ma   restarono a loro agio. Questo piacque molto a Stefano che preferiva i silenzi   alle parole. Sulla spiaggia c’era | 
| no solo tre ospiti che armavano una barca per la pesca alla lampara.   Uno di loro aveva indossato una muta di gomma nera che gli copriva tutto il   busto, fino all’altezza delle ginocchia. Un leggero vento dal nord aveva   ripreso a sferzare dolcemente l’aria e portava loro l’odore degli olivi che   si mischiava al profumo del mare quasi calmo in quel momento. Tutto era dolce   e quieto, rotto a tratti dai lontani suoni della musica del villaggio che, a   seconda del vento, portava loro l’allegria di quella folla.  | 
| “Non le piace stare con la gente?”, gli chiese mentre si   fermavano a pochi passi dalla riva.  | 
| “Non oggi, non in questo periodo. Ci sono momenti durante i   quali si sta meglio in compagnia del silenzio che in mezzo agli altri”.  | 
| “Credo di capirla. Ma che cosa la rende tanto triste?”.  | 
| Lui avrebbe voluto non rispondere, valutando l’inutilità di   quel dialogo. Guardò i riflessi argentati della luna sull’acqua ed ascoltò un   attimo il brontolio delle onde che si rompevano sulla riva. “Credo - disse -   che la vita mi sia diventata inutile. Non ho più interessi, ambizioni, affetti   da conservare. Di fronte a me c’è solo l’irreversibilità di una vecchiaia   solitaria, un lungo tunnel buio fino alla morte”.  | 
| “Io credo, invece - rispose lei, che   si tratti solamente di un brutto momento. Sul capo di ognuno passano, a   volte, grosse nuvole, ma poi torna il sereno. Ciò che sembra eterno è solo   passeggero ed il sole segue la pioggia come la primavera  | 
| l’inverno. Questa morte che si porta dentro e che si legge sul   suo viso si può combattere. Si chiama depressione. A volte può bastare   qualche milligrammo di benzedrina...”.  | 
| “No, i farmaci non possono darci quello che la vita ci nega e   poi perché non la droga o l’alcool, allora?”.  | 
| La donna lo guardò un attimo in silenzio, non sapendo cosa   rispondere a queste parole o ritenendo ovvia una risposta. Anche lei si   trovava nella parte terminale del suo viaggio della vita, anche lei aveva   pagato un alto prezzo alla vita, ma a differenza di lui sperava, credeva   ancora nel domani, negli uomini, nei sentimenti. La sua voce si fece più dolce,   più femminile e quasi sussurrando gli chiese: “Non crede all’amore?”.  | 
| “No”.  | 
| “Perché?”.  | 
| “Perché penso che a monte di tutto ci   siano solamente tanti egoismi, tanti piccoli o grandi o grandissimi egoismi   che si confrontano. Credo all’antico detto Homo homini lupus, l’uomo è   lupo all’uomo, l’uomo divora il suo simile. Ognuno ama soprattutto sé   stesso, il resto è ipocrisia, finzione, demagogia. Bisognerebbe educare i ragazzi,   fin nei primi anni scolastici, a cavarsela da soli, a fare a meno degli altri.   Invece si dice loro che c’è l’amore, la fraternità, l’amicizia. Ma lei l’ha   mai conosciuto un amore vero, non condizionato dalla passione dei sensi o   dalla complicità di un accordo per sfidare in due, anziché da soli, le   insidie del destino?”.  | 
| “Non credo che lei sia così cinico   come vorrebbe far credere, - soggiunse lei e la sua voce divenne ancora più   carezzevole - io credo che si esprime così perché ha vissuto di recente un   grosso dolore e non ha avuto il tempo sufficiente per far cicatrizzare la ferita”.    | 
| “Può darsi” rispose lui distrattamente   e si mise a seguire, con lo sguardo, il volo basso di un gabbiano che   planava verso il mare inclinandosi su di un fianco per poi riprendere quota   con brevi e intensi colpi d’ala. In lontananza si udiva sempre la musica   della pista e, molto più debolmente, lo stridio di gomme di qualche macchina   che affrontava male la curva grande, sulla statale per Sapri, prima   dell’ingresso del villaggio. Visto così, in piedi davanti al mare, col viso   serio e lo sguardo perso dietro un pensiero, l’uomo aveva un certo che di   affascinante, pur non essendo bello. Dalla camicia aperta sui primi quattro   bottoni si scorgeva il petto glabro e uno stomaco da ventenne che denunciava   il suo distacco dai piaceri e forse anche qualcos’altro. Una malattia? Forse.   Era quella, pensava Piera, che lo tormentava tanto? Lei, lo sentiva, avrebbe   potuto aiutarlo, gli sarebbe potuta stare vicino, lo avrebbe accudito:   sentiva, da quando lo aveva visto quel pomeriggio che qualcosa era avvenuto in   lei, qualcosa di magico, come tanti anni prima. Non c’era stata   premeditazione né disegno alcuno. Si sentiva semplicemente attratta da   quell’uomo e, pensava, forse neanche lei gli era indifferente. Ma come   sottrarlo dal fondo di quei suoi pensieri neri? Si può far mai desiderare   l’acqua a qualcuno che non ha sete? E poi chi le diceva che non si stava   sbagliando, che non fosse tutto un abbaglio, una specie di piccolo  | 
| incanto partorito con la complicità di quella notte stupenda?   Lo fissò, standogli di fianco, un po’ più indietro, a destra. Lui lo avvertì   e si girò incrociando con i suoi gli occhi di lei. Si guardarono per un   attimo che sembrò lunghissimo. In loro non c’era né proposta né rinuncia, si   sentirono semplicemente assai vicini. Fu lui, poi, ad abbassare lo sguardo   ed il super-Io riprese il controllo rigido dei sentimenti. La sua censura   interna era rientrata in funzione e la griglia dei sentimenti aveva ripreso   ad imbrigliare le forze di dentro che, a sprazzi, lottavano con la ragione,   con l’uomo che stava diventando duro, che ogni giorno di più rassomigliava ad   un misantropo, con la morte nel cuore, con questo grosso desiderio di   scomparire, di gettare la spugna sul quadrato della vita. Ad un tratto si   scosse, per un momento non capì, poi si accorse che qualcosa di morbidamente   rigido gli aveva urtato una gamba: era una palla di gomma grande quanto un   palmo aperto, gialla con piccoli disegni rossi. La inseguiva una bimba che   poteva avere tre anni o anche meno, vestita con un abitino di cotone rosa con   delle bretelline fatte di nastro dello stesso colore. Non portava scarpe e il   viso segnava l’accanimento ottimistico con cui i bambini riempiono   d’importanza anche le operazioni più banali. Dieci passi più indietro   venivano, in quella direzione, un uomo e una donna, probabilmente i genitori   della piccola. Questa si fermò davanti a Stefano e lo guardò alzando molto il   viso, essendosi fermata la palla proprio davanti a lui, frenata in un incavo   della sabbia.  | 
| “Come ti chiami?”, chiese l’uomo.  | 
| “Paola” rispose con decisione la bimba   che mostrava già una forte comunicativa.  | 
| Allora Stefano si abbassò, piegandosi   un po’ sulle ginocchia, e -prendendo la palla - gliela porse. Lei, dopo   averla afferrata con due mani la lasciò cadere e poi l’inseguì per colpirla   con il collo del piede. Si allontanò da dove era venuta.  | 
| “Perché non ci sediamo qualche minuto?”, disse Piera.  | 
| Lui lo fece senza rispondere e la donna gli si sistemò a   fianco, quasi attaccata.  | 
| “Non ha nipoti piccoli?” gli chiese nuovamente rompendo il suo   pensieroso silenzio.  | 
| “No, mia figlia non ne ha voluti. Credo che mi sarebbe   piaciuto. Ma più per egoismo. Poi penso, però, alle pappe da preparare, ai   pannolini da cambiare, alle mille incombenze cui va incontro ogni nonno nei   momenti di emergenza e mi dico che, tutto sommato, è stato meglio così”.  | 
| La donna lo guardò, quasi lo scrutò, come se volesse carpirgli   i segreti più intimi e gli chiese: “Dunque non c’è nulla che le interessi,   che le dia voglia di alzarsi la mattina, di iniziare una nuova giornata? Un   piacere, che so, un hobby, una vecchia abitudine, un interesse che potrebbe   diventare più consistente?”.  | 
| Stefano stava per rispondere   automaticamente di no, ma poi si fermò a riflettere un istante. In effetti   c’era qualcosa che da qualche ora stava turbando il suo pessimismo. Era una   tenue fiaccola in una grotta buia che rischiarava, con un pallore rossastro,   solamente un piccolo lato dell’antro.  | 
| Questa luce era lei, una minuscola   promessa in una galassia di minacce. Non poteva più nasconderselo, si stava   innamorando, quella donna lo attraeva, era scattato qualcosa ch’egli non   riusciva a definire bene, ma che gli piaceva, che avrebbe potuto diventare un   sentimento positivo... Lei si accorse che qualcosa stava cambiando, che   l’aura di elettricità intorno a lui stava cadendo, che l’uomo stava   emergendo, che l’umanità si manifestava.  | 
| “Perché non si lascia un poco andare?” gli chiese e gli   appoggiò dolcemente la mano sul dorso della sua mentre gli occhi, più con   certezza che con speranza, incontrarono i suoi: fu un attimo, lui girò le   dita e gliela strinse.  Ciro Discepolo | 
| II classificato al Premio Letterario Spaccanapoli 1987  | 
Un racconto per la vita
For the female friend of Mordecai: 
Dear Mordecai, these two locations can be well. Best wishes.
P.S. Per gli stagnini dementi (e con Mercurio quadrato stretto a Saturno): i piccoli e ininfluenti bug di Aladino non li abbiamo mai corretti perché ci costa troppo e ci fa perdere tempo che invece utilizzo a scrivere libri. Resta, invece, sempre valida la scommessa di 10.000 euro che il mentecatto giunge a sbagliare anche 15° su di un cielo di nascita italiano (ma già gli stanno saltando le valvole, ora se la fa anche addosso) e sono pronto a qualunque confronto: in pubblico, senza maschera, faccia a faccia e senza protezione (non temete, tanto la citazione non la capisce).
For all. This is not an important piece of news but I ask you to read it anyhow because it will explain, to some, the background noise which has been disturbing Astrology for some years (Per Tutti. Non è una notizia importante, ma vi invito a leggerla in quanto potrà spiegare, a qualcuno, il perché di un certo rumore di fondo che disturba, da qualche anno, l’Astrologia. Appena avrò un po’ di tempo, creerò altri tre o quattro blog per altre persone su cui vi state ponendo delle domande):
Buona Giornata a Tutti.





 
 
3 commenti:
Per Sergio.
permettimi un altro consiglio. Non scegliere mai una destinazione di compleanno per comodità di viaggio o economica: le RSM non sono la lampada di Aladino e per ottenere i risultati desiderati bisogna mirarle bene, anche a costo di viaggi difficili (non è questo il caso, comunque).
Le soluzioni Shangai e Hiroshima si assomigliano molto e hanno la stessa impostazione astrologica.
Chiedo scusa a Niko, ma mi permetto di insistere su Hiroshima, perchè, con Shangai, basterebbe tu fossi nato 3 minuti dopo e rischieresti uno stellium in 6a casa, una posizione molto pesante. Inoltre i vantaggi di Giove in X con Hiroshima sarebbero potenziati dalla strettissima congiunzione al MC.
Di nuovo auguri
Ludovico
Un saluto a tutti, per Ludovico: non te la prendere neanche tu ma allora anche Hiroshima potrebbe essere pericolosa per Sergio poichè, se fosse nato attorno alle 16.11 si beccherebbe ugualmente uno stellium in sesta! diciamo allora pure che una località dove non rischierebbe nulla è Beaufort in Australia (latitudine 37°25' sud e longitudine 143°23' est), dove si dovrà trovare il giorno 29/11/2011 alle 23.40 ora locale.
P.S. E' più probabile che una persona possa essere nata prima e non dopo l'orario dell'estratto di nascita.
Niko
Its mordecai again, dear ciro
I don't see which places are the ones you posted
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